Da "Lutte de classe" n°250 - Settembre-Ottobre 2025
Il 5 agosto 2024, il generale Waker-uz-Zaman, capo di Stato Maggiore dell'esercito del Bangladesh, annunciava la fuga del primo ministro al potere da quindici anni, Sheikh Hasina. Già l'8 agosto, Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace e figura di spicco dell'opposizione, assumeva la guida di un governo provvisorio sostenuto dall'esercito. La sua promessa? Rispondere alle aspirazioni democratiche espresse durante la rivolta popolare che, nonostante una sanguinosa repressione, aveva appena cacciato Hasina. A un anno di distanza, che ne è stato delle speranze suscitate dalla "rivoluzione di luglio"?
La divisione dell'India coloniale britannica ha dato origine a nuovi Stati indipendenti: l'India e il Pakistan con la partizione del 1947, poi il Bangladesh nel 1971. A causa dei confini tracciati artificialmente nel 1947 dai britannici, queste due separazioni hanno causato guerre e milioni di morti e sfollati. Questi confini che volevano essere tracciati su basi religiose, tra territori a maggioranza musulmana o indù, ignoravano i legami economici e sociali reali, così come la volontà delle popolazioni interessate, e furono fonte di continui conflitti tra questi Stati. I colonizzatori avevano messo i gruppi etnici o religiosi gli uni contro gli altri per assicurarsi il dominio e i loro successori nazionalisti seguirono le loro orme. Tre secoli di colonialismo lasciarono anche in eredità una storia di carestie - nel 1943 il primo ministro britannico Winston Churchill abbandonò alla morte tre milioni di bengalesi - ed economie distrutte e arretrate, incapaci di garantire alla popolazione una vita dignitosa.
L'antico Bengala coloniale fu uno dei territori divisi in due nel 1947: il Bengala occidentale fu integrato nell'India; il Bengala orientale divenne la parte orientale del Pakistan, a 2.000 chilometri dalla sua parte occidentale. Nel 1971, il Pakistan orientale divenne il Bangladesh indipendente, al termine di una guerra atroce condotta dall'esercito pakistano contro la sua popolazione con il consenso degli Stati Uniti e dopo un intervento militare dell'India. Da allora, la vita politica del Bangladesh è stata caratterizzata da violenti scontri, omicidi di militanti e leader politici e colpi di Stato militari. Tolto il periodo che va dal 1975 al 1990, caratterizzato prevalentemente da dittature militari, due partiti nazionalisti borghesi rivali si sono alternati al governo: il Partito Nazionalista del Bangladesh (BNP), conservatore, e la Lega Awami (Lega del Popolo) di Sheikh Hasina, una donna che si presentava come progressista, se non addirittura socialista. Ma, tornata al potere nel 2009, Hasina ha instaurato un regime autoritario.
Un paese sottosviluppato, plasmato dall'imperialismo
A volte definito un "miracolo economico" per i suoi alti tassi di crescita, il Bangladesh - con i suoi 170 milioni di abitanti, metà dei quali ha meno di 26 anni - rimane in realtà afflitto dalla miseria e dal sottosviluppo. Eredità della colonizzazione, questi mali sono più che mai il risultato attuale del dominio della grande borghesia imperialista sull'economia mondiale. Secondo esportatore mondiale di prodotti tessili dal 2010 (dietro alla Cina), il Bangladesh è integrato nell'economia mondiale come subappaltatore di ultimo livello, soggetto alle decisioni delle multinazionali americane ed europee dell'abbigliamento, come H&M, Zara, Adidas, Gap. Sono loro a dirigere questo mercato e a intascare la quota prevalente delle ricchezze create nelle 4.000 fabbriche tessili del Paese. 4,5 milioni di operaie (il 60% delle quali sono giovani donne) e operai producono abiti e scarpe in condizioni spesso pericolose, tragicamente dimostrate dalla morte di 1.138 operai nel crollo dell'edificio Rana Plaza nel 2013. Per un salario mensile di circa 90 euro nel 2024, lavorano tra 9 e 14 ore al giorno e anche di più, fino a sette giorni su sette nei periodi di picco della domanda mondiale. È così che producono l'82% del valore delle esportazioni del Bangladesh, pari a 36 miliardi di dollari nel 2023, su cui si fondano, direttamente o tramite il saccheggio delle casse dello Stato, le fortune dei capitalisti e dirigenti politici e militari del Paese, pagati in questo modo per il loro ruolo di agenti della grande borghesia imperialista.
Quanto alla grande massa della popolazione, di cui 18 milioni di giovani costretti alla disoccupazione, deve cercare di sopravvivere lavorando nel settore informale oppure in esilio come i 500.000 bangladesi che emigrano ogni anno, mescolandosi così alla classe operaia mondiale, soprattutto nei paesi vicini dell'Asia e negli Stati del Golfo Persico. Il capitalismo si rivela incapace di garantire alla popolazione anche solo un lavoro e uno stipendio che consentano di vivere. Non è nemmeno in grado di far uscire il Bangladesh dal sottosviluppo. Se il valore della produzione tessile è quadruplicato negli ultimi quindici anni, il numero di posti di lavoro nell'industria è rimasto invariato. La ferocia dello sfruttamento non è cambiata, anzi, la sua intensità è aumentata. Questo è il "miracolo economico" in cui è nata la rivolta del luglio 2024.
Dalla lotta contro le quote alla rivolta contro il regime
All'origine immediata della rivolta c'è un sistema di quote, percepito come un favore ingiusto ai sostenitori del partito al potere, la Lega Awami di Sheikh Hasina. Il 30% dei posti di lavoro pubblici era riservato ai civili che avevano combattuto l'esercito pakistano durante la guerra d'indipendenza del 1971, ai loro figli e, dal 2010, ai loro nipoti. Abolite nel 2018 dopo anni di lotte studentesche, queste quote sono state ripristinate il 5 giugno 2024 dalla Corte Suprema. Immediatamente, il movimento anti-quote ha ripreso vigore. Il 1° luglio, gli studenti hanno creato un'organizzazione dirigente, Studenti contro la discriminazione (SAD). Le città hanno quindi assistito a una serie di manifestazioni e blocchi stradali e ferroviari da parte di decine di migliaia di studenti e, sempre più spesso, di giovani di ogni provenienza che si sentivano privati di un futuro.
Di fronte alla protesta, Hasina non si limitò a provocare i manifestanti definendoli "traditori contrari alla liberazione nazionale". A metà luglio, avviò anche una feroce repressione condotta da bande di studenti e dirigenti della Lega Awami armati di manganelli e armi da fuoco e dalle forze di repressione dello Stato. Tra le più brutali, le unità antiterrorismo dei Battaglioni di azione rapida, che erano state addestrate negli anni 2000-2010 dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, erano note per aver fatto sparire migliaia di oppositori. A queste si aggiungevano soprattutto la polizia e l'esercito. Particolarmente significativa è stata la morte di Abu Sayed, uno studente ucciso il 16 luglio dalla polizia mentre aveva le braccia aperte. Il video della sua uccisione fece il giro del mondo, così come la sua storia: quella di un giovane proveniente da una famiglia di lavoratori poveri, il cui villaggio aveva raccolto fondi per permettergli di studiare. Sayed è stato uno degli oltre 1.400 uccisi, tra cui decine di bambini spesso colti nelle loro case durante i raid delle forze di repressione. Più di 10.000 persone sono state arrestate, e spesso torturate, ma lungi dal frenare la protesta la repressione l'ha alimentata.
Oltre al senso di ingiustizia nei confronti del sistema delle quote, la mobilitazione traeva forza da una profonda rabbia alimentata dal contrasto tra il discorso ufficiale trionfante sullo sviluppo del Bangladesh e una realtà ben diversa. Ciò che la grande massa della popolazione constatava di persona era l'aumento delle disuguaglianze sociali, un'inflazione a due cifre, l'estensione della miseria e le difficoltà a nutrirsi, essendo state 38 milioni le persone ufficialmente in condizioni di insicurezza alimentare nel 2023. A ciò si aggiungevano la disoccupazione di massa, la corruzione generalizzata per accedere a un posto di lavoro e, infine, il palese autoritarismo del governo Hasina. Ben oltre la questione delle quote, il movimento lanciato dagli studenti diventò l'espressione dell'esasperazione sociale e politica accumulata. Il 21 luglio, quando la Corte Suprema fece marcia indietro sulle quote, era già troppo tardi: il movimento si era trasformato in una rivolta contro il regime.
I lavoratori nella rivolta di luglio 2024
Il coraggio degli studenti, la sensazione che stessero lottando contro una società di miseria e uno Stato autoritario e corrotto, avevano trascinato nuove fasce della società nella lotta. I conducenti di risciò trasformarono i loro taxi-bicicletta in ambulanze per soccorrere i manifestanti colpiti dalla repressione. Braccianti, piccoli commercianti, lavoratori dell'economia informale e lavoratori tessili -di cui probabilmente diverse centinaia furono uccisi - si unirono alla rivolta in modo tanto più spontaneo in quanto, come Abu Sayed, la maggior parte degli studenti che sfidavano il regime provenivano essi stessi da famiglie popolari.
I lavoratori condividevano con loro molti motivi di ribellione e avevano anche i loro propri motivi. Nei distretti industriali intorno alla capitale Dacca, militanti operai e studenti organizzarono fin dal 16 luglio riunioni clandestine, a volte nelle foreste, per estendere la lotta alla classe operaia tessile. Nel più grande di questi distretti, Gazipur, tra il 16 e il 17 furono distribuiti migliaia di volantini, studenti e altri lavoratori furono trascinati dagli operai tessili e 10.000 persone si radunarono il 17 luglio. Il giorno dopo, la polizia effettuò raid e arresti di massa nelle case, nelle scuole e nelle fabbriche mentre contemporaneamente gli elicotteri dell'esercito sparavano sui manifestanti. Un operaio tessile, Nazrul Islam, fu ucciso e molti altri feriti. Il 25 luglio apparvero nuovi volantini: si associavano alle rivendicazioni degli studenti, chiedevano giustizia per gli operai uccisi, la fine delle persecuzioni e il divieto della repressione contro le manifestazioni, nonché un salario minimo di 30.000 taka (230 euro) e la pubblicazione dei profitti delle fabbriche.
La direzione della rivolta, assunta dagli studenti del SAD
Sebbene i lavoratori fossero numerosi nelle manifestazioni e, qua e là, alcuni militanti tra loro cercassero di formulare le loro rivendicazioni, la classe operaia non ebbe mai propri organi di lotta, né un proprio programma, e tanto meno un ruolo dirigente nella rivolta. Le rivendicazioni, gli slogan, gli appelli dipendevano dai dirigenti studenteschi del SAD che, nonostante le esitazioni, si assunsero la direzione di un movimento che era diventato una rivolta popolare contro il regime. Invece non avanzarono mai rivendicazioni legate ai bisogni dei lavoratori, né obiettivi che mirassero ai profitti e al potere dei capitalisti, limitando la rivolta alle loro aspirazioni democratiche piccolo-borghesi. Gli appelli ai principi di libertà, progresso, uguaglianza e giustizia, anche se riflettevano i sentimenti delle grandi masse, erano destinati a rimanere parole vuote dal momento che non mettevano in discussione il dominio capitalista e l'ordine imperialista.
Dopo aver ottenuto ragione sulle quote, i responsabili del movimento studentesco si limitarono a chiedere giustizia per le vittime e le dimissioni di vari dirigenti. Il 3 agosto, l'intensificarsi della rivolta e il suo carattere insurrezionale (450 delle 600 stazioni di polizia del paese furono attaccate o incendiate), li spinse a presentare un'unica rivendicazione: le dimissioni di Hasina e, per raggiungere questo obiettivo, un piano detto di "non cooperazione", incentrato sul boicottaggio delle tasse, delle imposte e delle istituzioni pubbliche. Questo piano invitava anche i lavoratori, soprattutto quelli del settore tessile e del porto di Chittagong, a non recarsi al lavoro. Per i leader studenteschi il peso economico della classe operaia doveva venire in appoggio alla loro politica e infine, il 4 agosto, uno di questi leader, Nahid Islam, dichiarò: "Se i bastoni non bastano, siamo pronti a prendere le armi. [...] Formate comitati di lotta della resistenza in ogni quartiere, in ogni villaggio. [...] D'ora in poi, saranno gli studenti a governare il Paese". Ma nonostante questi proclami rivoluzionari, si vide in seguito che non ne erano all'altezza.
L'esercito abbandona Hasina
Infatti se Hasina governava in modo autoritario, lo faceva in nome e nell'interesse della vera detentrice del potere, cioè la classe capitalista, a sua volta sostenuta dall'apparato statale, che però non era mai stato il bersaglio dei leader studenteschi. La vera questione non era boicottare o bloccare, ma cercare di spazzare via questo potere e sostituirlo con quello della classe operaia. Ma non era l'obiettivo di nessuna forza politica.
Da parte delle classi possidenti, era ormai chiaro che il movimento non poteva essere arginato solo con la repressione, il coprifuoco e il blocco di Internet. Il 3 e il 4 agosto, più di mezzo milione di manifestanti si riunirono ancora senza mollare di fronte alla repressione, allora al suo apice. Era necessario trovare una soluzione per disinnescare la rivolta prima che si trasformasse in una rivoluzione. Piuttosto che impegnarsi in una repressione ancora più violenta, dalle conseguenze incerte, si decise di servirsi delle illusioni democratiche. Già la sera del 4 agosto, il generale Waker-uz-Zaman, principale capo militare, aveva dichiarato che l'esercito - che ancora quello stesso giorno partecipava alla repressione - sarebbe stato "sempre dalla parte del popolo". Lo stesso giorno, alcuni ufficiali in pensione chiedevano all'esercito di "ritirare le sue forze dalle strade". Un ex capo di Stato Maggiore aggiungeva: "Siamo profondamente preoccupati, turbati e rattristati da tutti gli omicidi, le torture, le sparizioni e gli arresti di massa. [...] Le nostre forze armate non dovrebbero in alcun caso venire in aiuto a coloro che sono all'origine della situazione attuale". Così Hasina fu abbandonata e il giorno seguente, dopo quindici anni al potere, dovette fuggire precipitosamente in India. Quando il generale Zaman ne diede l'annuncio, centinaia di migliaia di manifestanti si erano già mossi verso la "Lunga marcia per Dacca" indetta dal SAD: quella che secondo il leader studentesco Asif Mahmud doveva essere la "battaglia finale" si trasformò in un'esplosione di gioia popolare.
Hasina se n'è andata, i generali restano
La rivolta aveva costretto i possidenti a un importante passo indietro, anche se, e di questo non si aveva coscienza, quel successo non era affatto decisivo, avendo Hasina insediato dei fedeli alla guida dell'esercito e dell'apparato statale ed essendo lo stesso generale Zaman legato da vincoli matrimoniali alla sua famiglia. Molti capitalisti del settore tessile erano associati alla Lega Awami, talvolta come membri, talvolta come deputati. Con la caduta di Hasina, alcuni ritennero prudente chiudere le loro fabbriche e fuggire all'estero. Ma gli interessi di classe dei capitalisti andavano oltre Hasina e il caso di alcuni di loro. Per preservare l'essenziale, era necessario correre il rischio di una ritirata e di un cambio di facciata.
Era urgente agire perché sempre più lavoratori stavano prendendo parte alla rivolta e rischiavano di seguire l'appello a formare dei comitati. Tra i coscritti e i giovani ufficiali dell'esercito cominciavano ad affiorare segni di malcontento per la violenza della repressione, se non addirittura di simpatia per la rivolta. Soprattutto, era necessario riportare la situazione alla normalità per riprendere lo sfruttamento dei lavoratori tessili, mentre alla fine di luglio i padroni del settore dichiaravano di perdere 150 milioni di dollari al giorno. La rivolta e la repressione avevano disorganizzato la produzione e per i committenti, le multinazionali americane ed europee dell'abbigliamento, non era possibile aspettare. Se i capitalisti bangladesi erano incapaci di garantire le ordinazioni, questi committenti potevano rivolgersi ai concorrenti in India o Vietnam. Nella battaglia economica mondiale, la competitività si misura non solo in base ai salari, ma anche sulla capacità degli Stati di mantenere l'ordine e la continuità dello sfruttamento. Hasina che non garantiva più questo ruolo era stata abbandonata e i generali dovevano darsi da fare per trovare un piano B.
Yunus e il governo provvisorio
Anche gli studenti si stavano organizzando, ma per obiettivi diversi. La fuga di Hasina aveva spinto i 200.000 poliziotti del Paese a nascondersi, per paura di una vendetta di coloro che avevano appena represso. Le frange più reazionarie della società ne approfittarono per scatenare violenze comunitarie, in particolare contro la minoranza indù. Gli studenti, con i loro comitati, si organizzarono per garantire la circolazione, pulire le strade, proteggere i quartieri, i beni, i luoghi di culto. Ma tra questo e "governare il Paese" c'era una bella differenza.
Toccava all'esercito prendere iniziative. Non aveva mai abbandonato le strade e aveva alle spalle una lunga esperienza. Già il 6 agosto si tenne una riunione tra i suoi vertici e i partiti dell'opposizione. Lo stesso giorno, l'esercito invitò i dirigenti studenteschi a negoziare la composizione di un nuovo governo. Con grande soddisfazione di tutti gli sfruttatori del Bangladesh, questi diedero credito a questo esercito che, dopo una sanguinosa repressione, si presentava come garante della democrazia. L'accordo fu raggiunto su un nome, quello di Muhammad Yunus che già l'8 agosto formò il suo governo provvisorio.
Premio Nobel per la pace nel 2006, noto come "il banchiere dei poveri", specializzato nel microcredito, Yunus aveva alle spalle una lunga carriera in varie istituzioni borghesi. Oppositore di Hasina, non apparteneva ad alcun partito. Era in grado di fungere da facciata democratica per garantire la continuità del dominio della borghesia imperialista e bangladese sul proletariato. E seppe abilmente lusingare i sentimenti degli studenti, parlando della loro rivolta come della "rivoluzione di luglio", un pericolo rivoluzionario che era proprio suo compito disinnescare.
Yunus formò il suo governo provvisorio con ex banchieri, procuratori, ambasciatori e alti ufficiali dell'esercito. A capo della banca centrale nominò un economista che aveva lavorato per 27 anni per il Fondo Monetario Internazionale, lo stesso di cui gli interventi hanno contribuito a seminare miseria in Bangladesh. Affidò il ministero dell'Interno a un ex ufficiale superiore dell'esercito, che insistette sulla necessità di recuperare al più presto le armi da fuoco sequestrate dai manifestanti durante la rivolta. Infine, offrì incarichi ministeriali di secondo piano a due dei principali leader studenteschi, Nahid Islam e Asif Mahmud, dando l'illusione che il governo provvisorio rappresentasse anche i combattenti di luglio mentre in realtà l'obiettivo era di smobilitarli meglio.
Il governo provvisorio contro i lavoratori tessili
Ma i lavoratori continuavano a dover affrontare salari da fame, stipendi non pagati, disoccupazione e aumento continuo dei prezzi, per cui a partire dall'agosto 2024 e poi nuovamente nel marzo 2025, moltiplicarono gli scioperi e le manifestazioni. C'erano illusioni sul governo provvisorio, le cui promesse di uguaglianza sociale e giustizia servivano ad alimentare la speranza che si sarebbe preoccupato della sorte dei lavoratori. Ma, a dimostrazione di una evidente sfiducia, i lavoratori non si limitarono ad aspettare e passarono all'azione. Col cacciare Hasina avevano acquisito fiducia nelle proprie forze. Ritenevano che con il suo allontanamento avevano conquistato diritti democratici che dovevano permettere di migliorare la loro sorte, di organizzarsi e di lottare per le loro rivendicazioni sui salari e i ritmi di lavoro, per assunzioni a tempo indeterminato, la fine dei licenziamenti e delle liste nere, e per il riconoscimento delle loro organizzazioni sindacali.
Ancora una volta, i lavoratori si trovarono di fronte le bande pagate dai padroni, i dirigenti dei sindacati gialli e, come sempre, la polizia e l'esercito. Yunus accusò i lavoratori in lotta di essere al servizio dell'estero o della Lega Awami e di essere nemici della "rivoluzione di luglio". Alla fine di agosto 2024, l'esercito fu dotato di poteri giudiziari speciali e dispiegato nei distretti industriali per porre fine a quelle che un consigliere di Yunus definiva "attività sovversive". Come nei mesi di lotte operaie del 2013 e del 2023, almeno due operai furono uccisi dalle forze dello Stato. Questa lotta senza indugio dei lavoratori tessili rivelava la natura antioperaia del governo provvisorio ed era la verifica che, come con Hasina, con Yunus si trovavano di fronte gli stessi sfruttatori capitalisti, gli stessi poliziotti, lo stesso Stato.
L'esito delle lotte resta da decidere
Oggi la crisi rimane aperta. La Lega Awami è stata messa al bando e 12.000 dei suoi membri sono stati arrestati a febbraio-marzo 2025 durante l'operazione "Caccia al demone". La concorrenza per occupare le posizioni lasciate libere è feroce tra le diverse fazioni politiche della borghesia. Il BNP, il Congresso Islamico e, ora, il Partito Nazionale dei Cittadini (formato da leader studenteschi del SAD) assumono, come il governo provvisorio, posizioni nazionaliste e bellicose, in particolare contro l'India. Già ora le bande del BNP sostituiscono quelle della Lega Awami al servizio dei padroni. Quanto agli islamisti, manifestano e iniziano a molestare le donne che non si coprono i capelli. Alla fine di maggio, Yunus, che ha rapporti tesi con l'esercito, ha minacciato di dimettersi. Le minacce dei generali sono di altro ordine: in nome della "sovranità e dell'unità del Paese", potrebbero tentare di risolvere la crisi politica - e, allo stesso tempo, cercare di mettere a tacere l'agitazione sociale - con un colpo di Stato militare.
Quale sarà l'esito? Quel che è certo è che, prima ancora di avere un'esistenza formale, la democrazia borghese ha già dato tutto ciò che poteva dare in un paese sottosviluppato come il Bangladesh: una facciata politica imposta dalle circostanze, per fare sì che le classi possidenti potessero mantenere il loro sistema di sfruttamento. Per il resto, contrariamente a quanto sostengono i leader studenteschi, Yunus e compagni, non saranno né le possibili elezioni del febbraio 2026 né una riforma della costituzione a impedire "il ritorno dell'autoritarismo". Il Bangladesh è posizionato in uno degli ultimi posti di un'economia capitalista mondiale anch'essa in crisi. Sono questi i fondamenti che determinano la fisionomia della borghesia e dello Stato del Bangladesh e impongono di mantenere al contempo le masse popolari nella miseria e sottoporre la classe operaia a uno sfruttamento sfrenato. La brutalità dello Stato sotto Hasina non era frutto della sua personalità, ma il risultato di queste contraddizioni sociali inconciliabili. Nel quadro del capitalismo, non può essere altrimenti. Questo è il vicolo cieco in cui i leader studenteschi del SAD hanno condotto la rivolta di luglio. Ed è per questo che il governo Yunus ha risposto alle lotte dei lavoratori tessili con calunnie, manganelli e proiettili.
Lezioni per il futuro
Che sia l'esercito a riprendere per primo l'offensiva, che l'iniziativa spetti nuovamente alla gioventù studentesca o che provenga da una generalizzazione delle lotte, ancora disperse, della classe operaia, stanno maturando battaglie più decisive di quelle dell'estate 2024. Sarà quindi fondamentale per i lavoratori aver imparato dall'esperienza dell'anno trascorso.
Come negli ultimi anni in Birmania o nello Sri Lanka, la combattività non è mancata ai ribelli del Bangladesh. Invece è mancata una direzione che cercasse di mettere in discussione il sistema capitalista e la divisione del mondo imposta dall'imperialismo. In questo senso, una battaglia decisiva si sta giocando proprio ora: è necessario dare vita a un partito comunista rivoluzionario capace di permettere alla classe operaia, nelle lotte future, di difendere i propri interessi, il proprio programma, e porsi come obiettivo di spazzare via i capitalisti e conquistare il potere. Spazzando via i capitalisti e il loro Stato, mostrando la strada ai lavoratori dell'Asia e del mondo, la classe operaia del Bangladesh compirebbe così il primo passo per uscire dalla miseria e dal sottosviluppo. È a dare corpo a questa prospettiva nella classe operaia che possono dedicarsi coloro, lavoratori o studenti spinti all'azione dalla rivolta dell'estate 2024, che rifiutano di accontentarsi di promesse e frasi vuote sulla libertà o sul progresso.
20 agosto 2025