Da "Lutte de classe" n°250 - Settembre-Ottobre 2025
La caduta del governo Bayrou, al quale l'8 settembre hanno negato la fiducia 364 deputati, tra cui alcuni del gruppo LR che appartenevano alla sua «base comune», è un nuovo episodio della crisi politica che si protrae dalla rielezione di Macron all'Eliseo nel 2022. Lo scioglimento del giugno 2024, con tutte le manovre politiche che lo hanno accompagnato, ha aggravato questa crisi frammentando l'Assemblea nazionale in diversi blocchi rivali, nessuno dei quali ha la maggioranza. Ma essa illustra una crisi più profonda della democrazia borghese in un periodo in cui il sistema capitalista è diventato senile.
Appena Bayrou è stato rimosso, Macron lo ha sostituito con Sébastien Lecornu, ex ministro delle Forze armate, fedele macronista proveniente dalla destra, con il compito di formare un governo in grado di far approvare la legge Finanziaria 2026 senza essere immediatamente censurato. Con questa nomina, Macron conferma con arroganza di mantenere la sua linea politica che mira a difendere gli interessi della classe capitalista mettendo a sua disposizione le casse dello Stato, riducendo la quota di ricchezza dovuta, in una forma o nell'altra, alle classi popolari e facilita con ogni mezzo lo sfruttamento dei lavoratori. Spetta a Lecornu di trovare il modo di presentare un bilancio tale da consentire la neutralità, se non il sostegno, del Partito socialista, pronto a molte contorsioni, o del Rassemblement National della Le Pen, diviso tra la sua base che vorrebbe "mandarli via tutti" e la sua ricerca di rispettabilità nei confronti dei grandi padroni.
Salvaguardare i profitti dei padroni a spese della classe operaia
In questo sistema capitalista in crisi, dove la concorrenza è sempre più agguerrita, si possono salvaguardare i profitti dei grandi padroni solo se lo Stato fornisce loro aiuti, e quindi se taglia i finanziamenti agli ospedali, alla previdenza sociale, agli enti locali, ecc. Queste erano le richieste formulate dal presidente della confederazione padronale, il Medef, all'indomani dell'accordo concluso il 27 luglio tra Trump e von der Leyen che fissava al 15% le tasse sui prodotti europei esportati negli Stati Uniti. Era questo il fondamento del piano Bayrou che prevedeva 44 miliardi di euro di tagli di bilancio che sarebbero stati interamente sopportati dalle classi popolari
È sicuro che questa politica sarà portata avanti a prescindere da qualsiasi governo prossimo e anche da quale che sia la maggioranza emersa dalle urne se Macron, in caso di fallimento di Lecornu, fosse costretto a sciogliere nuovamente l'Assemblea nazionale. Ovviamente, la politica sarebbe quella del RN, che ha appena inviato una lettera agli imprenditori francesi, nella quale promette loro tagli di bilancio per 100 miliardi di euro, la soppressione di centinaia di migliaia di posti di lavoro nella pubblica amministrazione e uno "shock fiscale positivo", ovvero nuove esenzioni fiscali. Ma sarebbe seguita anche da un eventuale governo dei partiti di sinistra. Se oggi pretendono di voler tassare, un po', i ricchi, sappiamo che domani si inginocchieranno davanti a loro, come hanno fatto ogni volta che sono stati al potere.
Tutti i deputati dell'Assemblea nazionale, compresi quelli di RN e della LFI di Mélenchon, giurano di agire nell'interesse nazionale, ovvero in quello della classe capitalista che domina la società. La maggior parte dei partiti ha rispettosamente dimostrato la propria comprensione degli interessi dei padroni durante le giornate estive organizzate dal Medef, il 27 e il 28 agosto. Anche se non hanno governato insieme, e non sono appartenuti, in un momento o nell'altro, allo stesso partito, alcuni di questi politici che si sono succeduti al potere, hanno completato le misure avviate dai precedenti.
Non sono le loro convinzioni a impedire ai diversi partiti di formare una grande coalizione per attuare insieme la politica richiesta dalla borghesia, cosa che i commentatori deplorano confrontando la situazione con quella di altri paesi. Sono i piccoli calcoli a breve termine degli uni e degli altri, le loro rivalità in previsione delle elezioni presidenziali del 2027 o di nuove elezioni legislative anticipate, che li hanno spinti a censurare Bayrou e che li porteranno a sostenere, o al contrario a ostacolare, Lecornu.
Secondo i padroni, che, ancora una volta, denunciano "l'instabilità" e "l'incertezza" dannose per gli affari e il rinvio delle riforme e dell'applicazione delle leggi che attendono, i leader politici, Macron in testa, sono irresponsabili. Questa irresponsabilità, o comunque questa incapacità di gestire la situazione con l'efficacia auspicata dai padroni, non deriva solo dall'egocentrismo ostinato di Bayrou o dalla "psiche di Macron", per riprendere una formula del quotidiano Le Parisien dell'8 settembre. È, in parte, il risultato del sistema politico che si è affermato in Francia, nel corso delle crisi e delle guerre, che attribuisce un ruolo predominante al presidente della Repubblica o dell'ostracismo nei confronti dell'estrema destra in vigore per diversi decenni. È soprattutto la conseguenza dell'impasse in cui si trova il sistema parlamentare in questo periodo di profonda crisi economica. Affinché la democrazia borghese funzioni senza intoppi, affinché una scuderia politica possa sostituire senza problemi quella che si è logorata al potere, è necessario che i governi abbiano qualcosa di gratificante da offrire ai propri elettori. Per essere eletti -e soprattutto rieletti- i deputati devono promettere alle classi popolari qualcosa di più che "sangue e lacrime".
Crisi politica e crisi economica
Ma l'economia capitalista si trova nella stessa impasse che ha già causato due guerre mondiali. I capitalisti hanno un bisogno permanente di sbocchi per i loro capitali. Devono poter reinvestire continuamente i loro profitti per realizzarne di nuovi. Chi non ci riesce, fallisce o viene assorbito dai più grandi. Le maggior imprese sono diventate multinazionali in grado di produrre molto più di quanto il loro mercato nazionale di origine possa assorbire. Si confrontano su un mercato mondiale che cresce molto più lentamente delle loro capacità produttive. Questa concorrenza sempre più dura e accanita genera guerre commerciali tra paesi rivali e, successivamente, guerre militari.
Il sistema capitalista è alle prese con contraddizioni che si traducono in un rallentamento della crescita e dei guadagni di produttività. Ciò porta alla finanziarizzazione dell'economia. In materia di clima e ambiente, l'irresponsabilità dei capitalisti si basa, nel senso letterale del termine, sul principio "dopo di me il diluvio". Questo provoca calamità sempre più gravi, come le tempeste catastrofiche e gli incendi giganteschi che hanno colpito molti paesi o l'inquinamento dei continenti e degli oceani.
Per dominare il mondo, accedere alle materie prime, eliminare i concorrenti minacciosi, prevalgono il cinismo e la brutalità, come Trump dimostra quotidianamente. Lui non è pazzo, non è solo un megalomane: è il vero volto dell'imperialismo. Nella giungla del mercato capitalista, chi possiede più capitali impone le proprie regole. Trump, rappresentante dell'imperialismo più potente, ha tirato fuori il grosso bastone del protezionismo per cercare di rafforzare i capitalisti americani in un sistema in crisi. I suoi concorrenti, anche quando possono contare sul sostegno di nazioni che si dichiarano alleate degli Stati Uniti, non hanno altra scelta che piegarsi.
In questo contesto, per mantenere i propri profitti, l'unica soluzione per i capitalisti è quella di aggravare lo sfruttamento. Se i più grandi tra loro, americani e non, saranno i vincitori delle nuove regole del commercio internazionale, a perdere saranno sicuramente le classi popolari, anche quelle degli Stati Uniti che già subiscono le conseguenze dell'inflazione. Se rimangono passivi, perderanno i lavoratori di tutto il mondo, i cui salari saranno inevitabilmente schiacciati, i ritmi di produzione intensificati, l'orario di lavoro allungato, mentre i posti di lavoro saranno soppressi e le pensioni ridotte. Questo è il programma obbligatorio di tutti i prossimi governi.
È anche perché hanno solo colpi da infliggere alle classi popolari che i governi sono sempre più apertamente reazionari. Temendo costantemente una rivolta sociale, cercano di deviarla. Per farlo ricorrono alla demagogia razzista, xenofoba o comunitaria, seminando divisioni tra gli sfruttati, alimentando l'odio verso gli immigrati, gli stranieri o i musulmani, stigmatizzando coloro che definiscono assistiti. Questa politica di divisione, all'interno della classe dei lavoratori o tra la classe operaia e la piccola borghesia colpita dalla crisi, è stata l'ancora di salvezza della borghesia in tutti i periodi di crisi. Macron, Darmanin o Retailleau ricorrono senza ritegno a questo espediente, senza nemmeno che i demagoghi di destra Le Pen, Bardella o Ciotti siano saliti al potere.
Autoritarismo e marcia verso la guerra
I prossimi governi, quindi, dovranno essere sempre più autoritari. La politica di Trump negli Stati Uniti, che terrorizza gli stranieri, compresi quelli con i documenti in regola , intimidisce i suoi oppositori e accusa di terrorismo coloro che criticano il suo incondizionato sostegno ai crimini israeliani, fornisce un modello ai dirigenti delle cosiddette democrazie occidentali.
Questa evoluzione autoritaria è da collegare a quella che indirizza verso una prossima guerra generale, sempre più evidente, anche agli occhi dei lavoratori poco politicizzati. Le tensioni e i conflitti che devastano il mondo alimentano questa preoccupazione. In Medio Oriente, Israele continua le sue guerre con sempre maggiore barbarie. Dopo aver attaccato il Libano, la Siria, lo Yemen e l'Iran, Netanyahu ha preso di mira il Qatar. Ha lanciato una nuova offensiva nel nord di Gaza, cacciando per l'ennesima volta gli abitanti affamati e bombardando sistematicamente gli edifici non ancora distrutti. In ogni fase, è sostenuto dagli Stati Uniti. In Ucraina, per avere la loro fetta di torta, i dirigenti europei, Macron e Starmer in testa, esclusi dai negoziati tra Trump e Putin, vogliono inviare truppe. Sfruttando le azioni criminali di Putin, che moltiplica i bombardamenti contro i civili e invia droni fino in Polonia, alimentano una campagna di agitazione intorno alla "minaccia russa".
Quando non è la Russia a essere presentata come una minaccia, è la Cina. Così la parata militare organizzata da Xi Jinping il 3 settembre a Pechino è stata presentata come la prova che la Cina sarebbe la principale minaccia alla pace nel mondo. Ma, se Xi Jinping ha certamente voluto dimostrare che il suo Paese ha i mezzi per resistere alle pressioni dell'imperialismo americano, gli Stati Uniti, con un bilancio militare di 1.000 miliardi di dollari contro i 300 della Cina, sono molto più temibili.
Tutti i dirigenti degli Stati stanno aumentando le loro spese militari anche se ancora non sanno contro chi si stanno preparando alla guerra. Sotto la pressione americana, i paesi della NATO si sono impegnati ad aumentare queste spese fino al 5% del loro PIL entro il 2035. Per la Francia, ciò porterebbe il bilancio militare a 120 miliardi di euro, più del doppio di quello attuale, dopo che è già aumentato di oltre il 50% dal 2017! È anche per liberare questi fondi che saranno effettuati tagli alla sanità e a tutti i servizi utili alla popolazione, indipendentemente dal prossimo governo. Su questo terreno, gli oppositori di Macron, sia il RN che LFI, sono pronti a chiedere ulteriori risorse per finanziare macchine di morte, a condizione che siano "made in France".
Questi miliardi non vengono spesi semplicemente per arricchire i mercanti d'armi, tricolori o meno. Le campagne militariste non sono un semplice condizionamento per far accettare sacrifici alla popolazione. Il giornale Le Canard enchaîné del 26 agosto scorso ha rivelato che una nota del Ministero della Salute ordinava alle agenzie sanitarie regionali di mettere in atto, entro marzo 2026, un piano affinché gli ospedali potessero accogliere fino a 500.000 feriti di guerra. Questo evidenzia che i capi di Stato Maggiore e i ministeri si stanno preparando metodicamente alla prossima guerra.
Quale risposta della classe operaia?
Solo strappando la direzione della società ai capitalisti potranno essere fermate le minacce che gravano sulla classe lavoratrice come i continui attacchi alle sue condizioni di vita e di lavoro negando o limitando i diritti all'occupazione, a una casa, a un salario o a una pensione dignitosa, a cure mediche accessibili o fondamentalmente la marcia verso la guerra. E per tenere lontane queste minacce non basterà sostituire i politici odiati con altri che non sono mai stati provati o con quelli che promettono un po' più giustizia sociale.
Il compito dei comunisti rivoluzionari è quello di difendere instancabilmente l'idea che nulla cambierà nella società se la classe dei lavoratori non affronterà quella capitalista. Non si tratta solo di difendere le sue rivendicazioni vitali, quelle che mirano a tutelare le condizioni di vita, il salario, il posto di lavoro, è necessario contestare la proprietà borghese sulle più grandi imprese di produzione, di distribuzione e sulle banche. Di fronte alla crisi, la classe dei lavoratori deve diventare capace di assumere essa stessa la direzione della società.
Il divario è enorme tra questo programma, richiesto dalla situazione generale, e l'attuale grado di coscienza e politicizzazione dei lavoratori. Questa discrepanza è il risultato di decenni di tradimento e di integrazione nello Stato borghese delle organizzazioni, dei partiti e dei sindacati creati dal movimento operaio. Recriminare è inutile, bisogna impegnarsi a ricostruire rifacendosi a quello che rimane il prezioso capitale politico ereditato dalle esperienze rivoluzionarie del passato, formulato da Marx, Lenin, Trotsky e altri leader marxisti.
Di fronte agli attacchi che subisce, bisogna sperare che la classe operaia reagisca e ritrovi la via della lotta. Ma non appena si manifesta una mobilitazione sociale, il primo problema che si pone è quello della sua direzione. È fondamentale che i lavoratori creino i propri comitati, i propri organi, per dirigerli e porsi alla testa delle rivolte sociali. Infatti, la classe operaia è l'unica in grado di portare a termine la lotta per rovesciare il capitalismo e instaurare una società senza sfruttamento. In questo percorso, sarà osteggiata non solo dallo Stato e da tutte le sue istituzioni, prefetti, polizia, giustizia, esercito... ma anche da tutti i capi dei sindacati e dei partiti che difendono accanitamente l'ordine sociale.
A questo proposito, è significativo ciò che è accaduto il 10 settembre, giornata annunciata come risposta al piano Bayrou. Questa data è emersa sui social network, lanciata da diversi collettivi, con obiettivi e modalità di azione tanto vari quanto vaghi: blocchi, boicottaggi, persino confinamenti... Non è stata fissata dall'alto, dai sindacati o dai partiti ufficiali, ma è stata diffusa dal basso e ha avuto un'eco importante negli ambienti popolari come quelli degli ex partecipanti al movimento dei gilet gialli e dei lavoratori isolati o delle piccole imprese, lontani dagli ambienti sindacali. Non sorprende che le dirigenze sindacali abbiano inizialmente denigrato questi appelli, poiché non ne avevano né l'iniziativa né il controllo. Sophie Binet, segretaria generale della CGT, li ha definiti "nebulosi", mentre Marylise Léon, della CFDT, ha denunciato questi "appelli alla disobbedienza", pur ricevendo Bayrou all'università estiva del suo sindacato. E se, infine, la CGT e numerose organizzazioni sindacali hanno invitato a partecipare a questa giornata, le direzioni hanno deciso soprattutto di rispondere a questa iniziativa che sfuggiva al loro controllo convocando uno sciopero nazionale il 18 settembre. Era un modo per affermare chiaramente che qualsiasi appello alla risposta deve provenire da loro e che questa deve comunque rimanere sotto il loro arbitrio.
Quindi nel prossimo futuro periodo, i lavoratori dovranno imparare a dare rilievo alle proprie rivendicazioni, a utilizzare i propri mezzi di azione, a cominciare dallo sciopero, e soprattutto a darsi gli strumenti per autogestirsi e non affidarsi alle direzioni sindacali, locali o nazionali, né ai partiti che cercano di darsi un'immagine di oppositori per meglio sviare i lavoratori, né a qualsiasi direzione autoproclamata.
I militanti rivoluzionari avranno un ruolo fondamentale da svolgere nell'aiutare i lavoratori in lotta a organizzarsi indipendentemente dalle centrali sindacali e dai partiti che faranno di tutto per assumere la guida delle proteste e che sicuramente li tradiranno. In questo periodo in cui gli attacchi dei padroni e del governo si intensificheranno, fornendo altrettanti motivi per possibili riposte operaie, sarà fondamentale la questione degli obiettivi, dei mezzi d'azione e del controllo della direzione delle loro lotte da parte dei lavoratori stessi.
12 settembre 2025