La lettera di Lotta comunista

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18 febbraio 2018

Pubblicato in Lotta comunista - Dicembre 2017

Il mensile "Lutte de Classe", dell'organizzazione francese Lutte Ouvrière, nel numero 186 di settembre-ottobre 2017 ha chiamato in causa in due articoli Lotta Comunista. Questa la risposta che la nostra redazione ha inviato al giornale francese.

Cari compagni,

confessiamo la nostra iniziale sorpresa, nel leggere sul numero di settembre-ottobre della vostra rivista i riferimenti a Lotta Comunista nell'articolo "Bordiguisme et trotskysme", nonché una selezione di alcuni passi della nostra corrispondenza, nell'articolo "Un échange de lettres entre Lutte ouvrière et Lotta Comunista".

A rifletterci però, il vostro doppio intervento ci è apparso come un'occasione reale di chiarimento, nello spirito con cui concludete il secondo articolo: «È auspicabile, e anche indispensabile, che organizzazioni che si richiamano al comunismo rivoluzionario, e che per giunta militano in paesi vicini, confrontino i loro punti di vista, e questo anche se esse hanno storie e tradizioni politiche assai differenti».

Mantenendo com'è nel vostro diritto il punto polemico, voi precisate che tale confronto non può essere interpretato da altri come un «avallo a prescindere» al nostro agire, ma va da sé che la cosa è reciproca. Si pensi ad esempio alla questione cruciale dell'autofinanziamento, su cui tra l'altro Lotta Comunista è stata più volte oggetto di campagne odiose di delazione e calunnie. Non vi abbiamo mai nascosto che per noi è questione vitale la piena autonomia finanziaria, un'organizzazione rivoluzionaria non deve dipendere da nessuno per essere davvero immune da ogni influenza. Eppure mai abbiamo pensato che intrattenere relazioni con voi, come facciamo dai primi anni Settanta, potesse significare anche lontanamente un «avallo a prescindere» da parte nostra della vostra pratica di accettare rimborsi elettorali dallo Stato borghese.

Veniamo al dunque. Detto con sincerità fraterna, ciò che emerge dai vostri scritti è che voi non conoscete davvero Lotta Comunista. Non ne conoscete la storia, dove incorrete in errori davvero imbarazzanti, e non ne conoscete le posizioni, dove sembrate riecheggiare per sentito dire vecchie caricature che in Italia lascerebbero sconcertato chiunque conosca davvero il nostro partito. Non potendo abusare del vostro spazio, ci limiteremo a mo' d'esempio a quattro questioni; se lo vorrete, affronteremo in altra occasione altri aspetti su cui la vostra ricostruzione è carente, a partire dalla stessa storia del PCd'I e del bordighismo.

Primo, la storia di Lotta Comunista. È davvero poco comprensibile che non menzioniate nel vostro articolo le nostre origini nel comunismo libertario. Caso ha voluto che proprio in queste settimane sia disponibile il primo volume di documenti dei GAAP (Gruppi Anarchici di Azione Proletaria), pubblicati in collaborazione con l'editrice libertaria Biblioteca Franco Serantini di Pisa. La recensione che vi mettiamo a disposizione, pubblicata sul numero di ottobre del nostro giornale, è sufficiente a chiarire l'enormità dell'omissione.

Lotta Comunista ricorda nella fondazione dei GAAP, il 24-25 febbraio del 1951, l'atto di nascita del proprio «gruppo originario». Non solo vi militarono i suoi dirigenti storici come Arrigo Cervetto, Lorenzo Parodi e Aldo Pressato, ma anche vi fu una relazione stretta, in Francia, con la Fédération Anarchiste, poi FCL (Fédération Communiste Libertaire) di Georges Fontenis. Iniziato nel 1950, il rapporto con i comunisti libertari di Fontenis sfociò anche, nel 1954, nella fondazione a Parigi della ICL - Internazionale Comunista Libertaria.

Secondo, la nostra presunta derivazione organizzativa dal bordighismo. La vostra ricostruzione sconta mere somiglianze di denominazione; a vostra scusante il fatto che il labirinto di sigle sia altrettanto intricato da noi in Italia quanto da voi in Francia. I Gruppi Leninisti della Sinistra Comunista non sono tali perché derivati dalla sinistra comunista bordighista, ma perché ultima risultante del Movimento della Sinistra Comunista (MSC) che col bordighismo non ha nulla a che fare. A una prima iniziativa di fondazione parteciparono nel dicembre del 1956 quattro gruppi: i GAAP, divenuti Federazione Comunista Libertaria - sezione dell'Internazionale Comunista Libertaria, dove Cervetto guidava la corrente ormai leninista e Pier Carlo Masini quella anarchica; i trotskistí dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari - IV Internazionale, guidati da Livio Maitan; la costola bordighista di Battaglia Comunista, di Onorato Damen; il gruppo milanese di Azione Comunista, una formazione massimalista fuoriuscita dal PCI con la crisi dello stalinismo, guidata tra gli altri da Bruno Fortichiari, tra i fondatori del PCd'I nel 1921.

Allo stesso titolo dunque, quella sinistra comunista poteva dirsi leninista, libertaria, trotskista, massimalista, e solo in una componente bordighista dissidente. Quasi immediatamente però si ritirarono dall'iniziativa i trotskisti di Maitan e i bordighisti di Damen, per cui il MSC fu costituito dalla confluenza delle sole Federazione Comunista Libertaria e Azione Comunista.

Quando nei primi anni Sessanta alcuni esponenti del massimalismo milanese di Azione Comunista subirono l'infatuazione per il maoismo, dalla crisi del Movimento della Sinistra Comunista sortì nel 1965 il cambio di denominazione in Gruppi Leninisti della Sinistra Comunista, nonché il nostro giornale, "Lotta Comunista". In nessun modo dunque i Gruppi Leninisti della Sinistra Comunista possono essere definiti una derivazione dal bordighismo: se però il riferimento fosse l'iniziativa a quattro del dicembre del 1956, da cui prese le mosse il Movimento della Sinistra Comunista, allora il nostro grado di parentela col bordighismo sarebbe eguale a quello col... trotskismo!

Terzo, Lotta Comunista e la teoria di Bordiga. Più interessante della questione organizzativa, dove il ceppo originario ripetiamo non è nel bordighismo ma semmai nel comunismo anarchico, è il nostro rapporto con la teoria e le analisi di Amadeo Bordiga. Esso ha nell'analisi dell'URSS come capitalismo di Stato il suo punto decisivo, e in questo senso Cervetto si trovò ad appuntare che il bordighismo è una filiera che «ha espresso anche noi». Quanto al resto lasciatevi dire che la vostra ricostruzione è davvero di grana grossa e nuovamente infarcita di strafalcioni. Se volete criticarci, è nell'interesse di entrambi che lo facciate in base alle nostre vere posizioni, e non inseguendo dei "sentito dire" datati.

Alcuni esempi. Sull'astensionismo, tra Lenin e Bordiga pensiamo avesse ragione Lenin e torto Bordiga. Infatti il nostro non è un astensionismo di principio, tanto che abbiamo partecipato al voto in diverse consultazioni referendarie. Il nostro è un astensionismo strategico, mosso dalla considerazione chiave della crisi del parlamentarismo, nelle diverse e nuove condizioni dell'era della democrazia imperialista. Per lo stesso padronato le Camere non sono più al centro della decisione legislativa, per cui il loro utilizzo come "tribuna parlamentare" è svuotato di senso. Ci sembra che proprio la Francia sia testimonianza massima di questa crisi del parlamentarismo, e del resto è ormai chiaro che la maggioranza degli operai e dei salariati non vota. Non si capisce perché dovremmo essere proprio noi rivoluzionari a reintrodurre nella nostra classe quel virus parlamentare, rilegittimando un'istituzione borghese che lo stesso padronato ha svuotato di significato.

La teoria dell'imperialismo è proprio quanto non accettiamo in Bordiga, per la sua visione liquidatoria del «miliardollaro», uno strapotere dell'imperialismo americano che annichilirebbe ogni possibilità d'azione, e per l'identità meccanica tra forza finanziaria e potere degli Stati. Qui Bordiga si avvicina semmai alle teorizzazioni del «totalitarismo», derivate dalla visione non dialettica di Nikolaj Bucharin.

Nel rapporto tra economia e politica, dove credete di riscontrare in noi l'impronta del meccanicismo bordighista, la sollecitazione di Cervetto andò in senso opposto. L'invito, sia nell'analisi internazionale che in quella della politica italiana, fu a indagare le specifiche regolarità della politica. La contesa internazionale andava «rimessa in piedi sul sistema degli Stati», lo studio della lotta delle correnti politiche doveva indagare la combinazione multiforme scaturita dall'intreccio dei fattori determinanti dell'economia con la storia, le culture politiche, il «fattore morale» ossia i caratteri nazionali.

Nel suo punto essenziale, la critica che muoviamo a Bordiga ha molti punti in contatto con quella che muoviamo a Trotsky. Entrambi sottovalutarono la tendenza storica allo sviluppo capitalistico, concependo gli anni Venti e Trenta come tendenza storica alla stagnazione, con le conseguenze politiche e strategiche che ciò comportava. Ciò lasciò la nuova generazione, dopo il 1945, senza strumenti per affrontare il colossale ciclo di sviluppo capitalistico che avrebbe segnato i successivi decenni, con le sue conseguenze per i compiti politici del partito rivoluzionario: una lunga fase controrivoluzionaria, l'emergere di nuove potenze, una contesa accanita tra vecchie e nuove potenze che si sarebbe fermata però a crisi parziali e guerre limitate.

Senza che vi appaia saccente, questi sono di necessità solo brevi cenni sui punti più clamorosi dove, ahimè, dimostrate di non conoscerci. Se avrete la pazienza di leggere i tre volumi della nostra storia che abbiamo pubblicato a partire dal 2012, vi troverete un'esposizione ordinata della nostra vicenda e delle nostre posizioni nei suoi termini teorici e politici: i primi due testi sono già stati tradotti in francese ("Lotta Comunista. Il gruppo originario 1943-1952" e "Lotta Comunista. Verso il partito strategia 1953-1965"). Il terzo ("Lotta Comunista. Il modello bolscevico 1965-1995") è uscito quest'anno ed è di imminente pubblicazione anche nella vostra lingua.

Quarto, la questione del partito scienza. È davvero una caricatura il vostro riferimento alla nostra concezione del partito scienza come a una specie di pretesa professorale, quasi fossimo maniacali "primi della classe" convinti per giunta di voler imporre la «scienza» con la forza bruta. Per favore, siate seri!

Cercando un esempio che sia il più vicino possibile alla vostra tradizione, ci viene in mente l'IMEMO, l'Istituto per l'Economia Mondiale e le Relazioni Internazionali, fondato a Mosca da Evgenij Varga quando ancora era valido collaboratore di Trotsky. II motto scelto da Varga fu «Conoscere il tuo nemico è averlo battuto a metà», e crediamo sia una delle definizioni più azzeccate per il partito scienza, in due accezioni.

La prima è difensiva. Conoscere la classe dominante, il padronato, i suoi gruppi, le sue frazioni, i sui partiti, i suoi Stati con cui i capitalisti combattono tra loro, consente alla nostra classe di non essere afferrata e influenzata appunto da quei capitalisti in lotta per i loro interessi in contrasto. Non c'è solo il caso estremo della guerra, dove le masse operaie dei diversi paesi sono fanatizzate dalle ideologie nazionaliste e spinte a massacrarsi sugli opposti fronti, ci sono mille altri casi concreti in cui la classe operaia mantiene la sua autonomia solo se studia il suo nemico, se impara a «conoscere chi ha davanti», come scrisse Marx iniziando lo studio della politica internazionale.

La seconda accezione del partito scienza è offensiva. Conoscere la classe dominante significa conoscerne le contraddizioni, i punti deboli, gli scontri tra i gruppi economici e quelli tra le forze politiche e tra gli Stati, per utilizzarli a vantaggio del proletariato. Per questo partito scienza è un concetto affine a quello di partito strategia: si pensi di nuovo alla guerra e alla strategia di Lenin del disfattismo rivoluzionario, al calcolo di come il «motore della guerra» avrebbe influito sugli Stati, sulle classi e sulle forze politiche, portando le masse ad accettare. come inevitabile la soluzione dei bolscevichi.

Possiamo trarre dalla nostra storia alcuni esempi tra i tanti di come in momenti cruciali essere o non essere partito scienza ha fatto per noi la differenza per i compiti pratici di partito.

1950, la guerra di Corea. La percezione diffusa all'epoca è quella di una Terza guerra mondiale imminente; tra i trotskistí lo teorizza Michel Pablo, alias Michalis Raptis, nell'opuscolo "La guerra che viene". Una parte del movimento anarchico inclina per l'Occidente, in odio all'URSS: è l'Occidentalismo. Chi è influenzato dall'URSS risente delle campagne pacifiste alimentate da Mosca: è l'Orientalismo. Ritenere imminente una guerra tra USA e URSS misconosce l'esistenza dell'imperialismo europeo; USA e URSS in realtà sono d'accordo nel tenere divisa e soggiogata l'Europa: le suggestioni di una Terza forza subiscono l'influenza delle potenze europee.

Secondo Cervetto, ritenere all'epoca che la guerra fosse davvero alle porte era un errore esiziale, che impediva che ci fosse davvero un partito politicamente autonomo: non si vedeva l'esistenza dell'«imperialismo europeo», e non vedendolo si rischiava di finirvi a rimorchio. Nel 1953, proprio nel dibattito interno nei GAAP, la conoscenza scientifica delle forze reali dell'imperialismo unitario (non solo l'URSS, non solo gli USA, ma anche l'Europa che inizia a distaccarsi dagli Stati Uniti) consente di non farsi afferrare da nessuno dei tre: né dagli occidentalisti, né dagli orientalisti, né dai terzaforzisti europei. Ciò ebbe un significato pratico, più avanti, nel bloccare il tentativo di Masini di portare i libertari nel PSI di Pietro Nenni convertito all'europeismo.

1957, i «miracoli economici" o «trenta gloriosi". Quali erano negli anni Cinquanta le prospettive dello sviluppo mondiale del capitalismo? Si andava dispiegando un lungo ciclo di sviluppo, affermavano le nostre "Tesi" del 1957, ne discendevano i compiti immediati per un partito di classe.

Non c'era alcuna rivoluzione alle porte, come speravano i massimalisti prigionieri del loro «tempo psicologico»; guerre e crisi future sarebbero state per un lungo tratto guerre limitate e crisi parziali. Lo sviluppo capitalistico avrebbe però via via aumentato le contraddizioni nel sistema di Stati, creando nuove potenze, spingendo il capitalismo di Stato imperialistico dell'URSS contro il giovane capitalismo della Cina, alimentando la tendenza all'unificazione europea, eccetera. Il partito avrebbe potuto crescere e radicarsi sfruttando quelle contraddizioni dello sviluppo, ma sapendo bene che la tendenza di fondo nelle masse era alla socialdemocratizzazione e non alla radicalizzazione rivoluzionaria.

1973, la crisi petrolifera e la crisi mondiale. Molti si aspettavano una crisi generale. Per noi fu una «crisi di ristrutturazione», le contraddizioni delle vecchie potenze trovavano ancora grande spazio nello sviluppo dei nuovi mercati e nei giovani capitalismi. Però il carattere delle lotte di classe mutava di conseguenza, sarebbero state non più lotte di offensiva salariale, ma lotte di difesa nella ristrutturazione. Di qui il compito prioritario di organizzare dove possibile una «ritirata ordinata» della classe. Di qui anche la necessità di privilegiare il lavoro di educazione e di organizzazione, certo un «compito generale» che sempre deve vedere impegnata un'organizzazione di classe, ma che in quel momento diventava anche il compito in pruno piano.

1989-1991, la cesura strategica della fine di Yalta. Il crollo del Muro di Berlino, il crollo dell'URSS e del suo capitalismo di Stato, in Cina il rilancio dell'«apertura» di Deng Xiaoping e quindi dei forti ritmi dello sviluppo cinese, sono i primi segni di una «nuova fase strategica».

Dall'area che nell'analisi delle "Tesi" del 1957 era quella dell'«arretratezza», quasi i 2/3 della popolazione mondiale, ora emergono grandi potenze, prima fra tutte la Cina. Tra la fine degli anni Novanta e inizio del nuovo secolo, con l'ingresso della Cina nel WTO, la federazione dell'euro, la guerra nel Golfo scatenata dagli USA per prevenire la Cina, la «nuova fase strategica» è conclamata.

Mutano di conseguenza i compiti di partito: la contesa è tra «grandi potenze di stazza continentale», se i padroni si mettono d'accordo nel Vecchio Continente per reggere la concorrenza della Cina, anche gli operai devono «pensare europeo» ma assolutamente devono anche cercare l'alleanza col nuovo proletariato cinese, per non farsi afferrare dalle campagne padronali contro il "pericolo giallo". Partito scienza oggi è questo: conoscere le forze in gioco e il loro sviluppo, per non farsi afferrare dall'influenza dell'America, della Russia, dell'Europa, perché no della Cina, che vorrebbero usare gli operai nei loro scontri, e conoscere le contraddizioni tra i grandi gruppi e tra i loro Stati, per avvantaggiare il proletariato mondiale. Per questa ragione, per noi e per voi, diviene vitale radicare una forza rivoluzionaria nel cuore dell'imperialismo europeo. Niente di meno che questo, compagni, non si tratta semplicemente di conoscere le posizioni reciproche attraverso «libri» e «giornali», o di confrontarsi,tra militanti di «paesi vicini»! Il padronato si organizza su scala europea, gli operai devono fare altrettanto, e dall'Europa guardare al mondo.

Se partito scienza significa questo, ecco allora che non è il programma, come sostenevano i bordighisti, non è il prodotto spontaneo del movimento, come ritenevano luxemburghiani e consiliaristi, non deriva da un fronte dal basso di raggruppamenti eterogenei, come a volte ha ritenuto il trotskismo. Ma sarà la pratica politica, non una ridicola pretesa illuministica, a sancire nei risultati se quelle analisi scientifiche e le indicazioni di lavoro che ne discendono sono o no fondate.

I consigli non richiesti di rado sono efficaci, ma la questione è di tale rilevanza che accettiamo il rischio di restare incompresi. Compagni, siate orgogliosi della vostra tradizione, e restate fedeli alla memoria e all'insegnamento di Léon Trotsky. Ma non fermatevi a questo, abbiate l'ambizione di essere il partito scienza del movimento trotskista. Non sappiamo come Trotsky avrebbe risposto ai quesiti della spartizione imperialista di Yalta, se non fosse caduto da martire per mano di Stalin; non sappiamo come avrebbe affrontato l'evidenza dello sviluppo, nei decenni dei "miracoli economici". Non sappiamo come avrebbe valutato l'emergere della Cina a grande potenza. Voi potete farlo, se avrete fantasia scientifica. Trotsky si sentiva "patriota" del suo tempo, amava il suo secolo, il Novecento, come secolo di immani mutamenti e di rivoluzioni. Voi potete portare Trotsky nel Terzo Millennio.

Infine, quanto alla questione oggetto dello scambio di lettere, vi consigliamo di leggere i capitoli "La battaglia di Genova" e "La battaglia di Milano"; nel volume di prossima uscita da voi in Francia. Come non conoscete Lotta Comunista nella sua storia e nelle sue posizioni, così non mostrate di afferrare quanto seminali siano state quelle battaglie: una lotta per l'esistenza del partito ma anche, specie a Milano, letteralmente per la vita di molti militanti. A dire il vero, anche chi in Italia non ha vissuto direttamente quell'esperienza non può riuscire a rappresentarsela.

Fu la battaglia di formazione della seconda generazione di Lotta Comunista; da allora anche le successive generazioni di giovani, via via più folte, sono cresciute nella determinazione di non accettare mai più delazioni e calunnie, da nessuno. Se qualcuno ha scherzato col fuoco per ingenuità o incoscienza, come ci sembra di capire dalla vostra corrispondenza, sa come fare.

D'altra parte, notiamo che l'incomprensione non è di oggi. Già nel novembre del 1973, in un vostro "Bollettino d'informazione", credevate di vedere nelle nostre concezioni politiche una concausa delle campagne di ostracismo contro di noi. Certo, si attaccava Lotta Comunista «qualificandola in blocco come gruppo `fascista" e "provocatore', nel più puro stile staliniano». Ma,.scrivevate, «una parte della responsabilità incombe anche, sembra, su Lotta Comunista». A vostro avviso non avevamo un'«attitudine politica» verso l'«estrema sinistra», ciò che per noi erano i "gruppi" piccolo-borghesi intellettuali manutengoli dello stalinismo, e nemmeno verso il PCI «col quale le "bagarre" sembra[val no frequenti». In questo, sempre per il vostro bollettino, Lotta Comunista mostrava un certo «trionfalismo», considerandosi già «il Partito» e «tendendo a rifiutare gli altri in blocco».

Dopo quasi quarantacinque anni, forse, vi è necessario un aggiornamento.