Un'opposizione nel Partito della Rifondazione comunista impegnato nel sostegno al governo

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Da "Lutte de Classe n°23 (Un'opposizione nel Partito della Rifondazione comunista impegnato nel sostegno al governo)
Novembre 1996

Sei mesi fa, le elezioni del 21 aprile davano la vittoria alla coalizione di sinistra detta "dell'Ulivo", contro il suo avversario di destra, portando all'insediamento del governo Prodi. Durante questi sei mesi, si è potuto verificare fino a che punto quel governo può godere dell'appoggio, a sinistra, del Partito della Rifondazione comunista. Quel sostegno non gli è venuto meno, soprattutto per fare accettare la politica di austerità auspicata dalla borghesia italiana da parte del governo Prodi.

Per il suo congresso del dicembre 96, questa politica del PRC viene in discussione, tra l'altro con un testo di opposizione.

"Accordo tecnico"... e sostegno politico

La coalizione dell'Ulivo è costituita in maggioranza dall'ex Partito comunista, diventato PDS (Partito democratico della sinistra), dai Verdi e dal Partito Popolare, cioè la frazione della vecchia Democrazia cristiana che, dietro a Prodi, ha scelto l'alleanza colla sinistra. Dal canto suo, il Partito della Rifondazione comunista non fa parte di quest'alleanza e si presentava nelle elezioni del 21 aprile con il proprio programma. Ma nondimeno aveva concluso coll'Ulivo l'accordo elettorale di desistenza, chiamando quindi gli elettori a votare per i candidati dell'Ulivo nella maggioranza dei collegi, mentre l'Ulivo chiamava a votare PRC nei pochi collegi che gli toccavano.

Per fare accettare ai propri militanti tale accordo elettorale, i dirigenti del PRC hanno prima dichiarato che si trattava solo di un accordo "tecnico", causato dal sistema elettorale maggioritario con un solo turno adottato per il 75% dei deputati : mettere in concorrenza in quei collegi un candidato PRC e uno dell'Ulivo avrebbe significato, in tanti casi, facilitare la vittoria d'un candidato della destra. Ma passate le elezioni, e l'appoggio dei deputati PRC risultando necessario per dare una maggioranza parlamentare a Prodi, è diventato sempre più chiaro che si trattava di un accordo non solo tecnico, bensì politico : pur rimanendo esterno al governo Prodi e senza esigere posti ministeriali, il PRC gli dava il suo sostegno.

Nondimeno era chiaro fin dall'inizio che l'insediamento del governo Prodi era visto dai padroni italiani come un'ottima occasione. Sostenuto da una maggioranza di sinistra, godendo di un giudizio favorevole da parte sindacale, questo governo poteva essere l'occasione di fare accettare facilmente, alla classe operaia, una serie di esigenze padronali. Il fatto che questo governo fosse dipendente, a sinistra, del voto dei rappresentanti di Rifondazione comunista, non turbava tanto né i padroni, né la Borsa, né i mercati valutari per cui l'arrivo di Prodi al governo era un motivo per fare risalire il corso della lira. Questi sei mesi hanno dimostrato la giustezza del loro giudizio.

E' vero che il PRC aveva, nel corso della sua campagna elettorale, presentato un programma mirante a differenziarlo un po dall'Ulivo. Secondo lui, si trattava di dieci punti che sarebbero stati "una terapia d'urto per i primi cento giorni della legislatura", fatti però di promesse generiche, senza nessun impegno preciso. Dopo le elezioni, perfino quel programma è stato dimenticato, e PRC è stato attento al non farne un'esigenza quando si è trattato di sostenere il governo Prodi. Il segretario del PRC, Fausto Bertinotti, si è accontentato di preparare un sceneggiato destinato a dimostrare al suo elettorato che non dimenticava completamente i suoi interessi.

Bertinotti si fa pregare ma il suo sostegno e' garantito

Così, Bertinotti, nel luglio scorso, ha cominciato col votare no al primo progetto di "Documento di programmazione economica e finanziaria" presentato dal governo. Quest'ultimo prevedeva di prendere in conto, per l'aumento dei salari nei contratti, una quota del 2,5 % per l'inflazione programmata, mentre il rinnovo dei contratti precedenti era stato fatto sulla base del 3 %. Dopo un negoziato col PRC, Prodi si è dichiarato pronto ad aumentare quella quota fino al 3 %... il che è stato sufficiente per garantire il voto dei deputati PRC a favore di quel programma economico. Quel O,5 % in più bastava a far cambiare idea al PRC, che non accennava più nemmeno all'unica promessa un po' precisa fatta nel corso della campagna elettorale : il ripristino della scala mobile dei salari che li proteggeva contro l'inflazione, soppressa nel 1993 dopo un accordo con le direzioni sindacali.

Si è potuto anche giudicare l'atteggiamento del PRC, all'inizio dell'autunno, quando è venuta in discussione al Parlamento la legge finanziaria '97. Anche in questo caso, il governo ha dovuto negoziare con Bertinotti, quale membro della maggioranza parlamentare. Dalla discussione è risultata una serie di provvedimenti di austerità, comportando tra l'altro una serie di nuove tasse. Tra questi, l'"Eurotassa" che graverà su tutti i redditi, viene giustificata dal governo colla necessità di portare il disavanzo dello Stato sotto il 3 % del prodotto interno lordo, come lo richiede il trattato di Maastricht perché l'Italia possa partecipare alla moneta unica. Tutto ciò, il PRC lo ha accettato. Tutt'al più Bertinotti poteva pretendere di avere evitato il peggio : infatti, per questa legge finanziaria '97, si era parlato prima di ridurre la spesa con la diminuzione delle pensioni e l'instaurazione di nuovi ticket sulle spese mediche. Invece l'opposizione del PRC ha portato a questa scelta dell'instaurazione di nuove tasse, che chiaramente saranno pagate nello stesso modo dalle classi popolari.

Alle norme instaurate per via legislativa, se ne sono aggiunte altre, come risultato del negoziato tra padroni e sindacati ma con l'accordo del governo. Così, un "patto per il lavoro" firmato nel settembre scorso, prevede nello stesso tempo il varo di lavori pubblici e delle norme di deregolamentazione del lavoro : rilancio dell'apprendistato, lavoro interinale, e innanzitutto "contratti d'area" che, col pretesto di agevolare le assunzioni nelle zone di forte disoccupazione, autorizzano i padroni ad assumere dipendenti con stipendi più bassi. A ciò si aggiungono degli esoneri per i padroni che creeranno posti di lavoro nelle regioni del sud. Tra l'altro, quel "patto per il lavoro" significa miliardi versati dallo Stato nelle casseforti del padronato. Il PRC ha potuto disapprovarlo, in quanto nessuno gli chiedeva il suo voto. Ma chi può far finta di non sapere che emana da un governo al quale Bertinotti ha votato la fiducia ?

Grazie a tale falsa opposizione, sembra che Bertinotti speri di accontentare i propri militanti e la classe operaia, e che cerca di dimostrare che egli rimane il migliore avvocato di quest'ultima in seno alla maggioranza parlamentare. Non è del tutto sicuro però, che riesca a dare quest'illusione a lungo, tra l'altro quando l'effetto delle decisioni del governo Prodi si farà sentire concretamente nelle condizioni di vita e di lavoro della classe operaia. Il malcontento è certo notevole, come lo hanno dimostrato non solo il successo dello sciopero dei metalmeccanici per il rinnovo del contratto, il 27 settembre scorso... ma anche il fatto che, nonostante la loro politica di collaborazione, i sindacati metalmeccanici abbiano provato la necessità di chiamare a tale sciopero e poi di programmare ulteriori agitazioni.

Bisogna aggiungere infine che non mancano opposizioni, a destra dell'arco politico, che cercano di trarre vantaggio di questa situazione, in cui l'insieme della sinistra s'impegna nel sostegno ad una politica antioperaia, che senz'altro provocherà una forte insoddisfazione. Questo si è verificato quando la Lega Nord d'Umberto Bossi ha organizzato, a metà settembre, dimostrazioni a favore della "secessione" del Nord Italia. La protesta contro le tasse imposte dallo Stato centrale è da tempo, per Bossi, un terreno privilegiato di demagogia, col quale esso cerca di sviare il malcontento, per sfruttarlo a suo favore. Ma nello stesso tempo, la contro-manifestazione di Milano, a cura dell' Alleanza nazionale di Gianfranco Fini, cioè l'ex partito neofascista, intendeva protestare contro il "secessionismo" di Bossi, in nome del nazionalismo italiano. Nel momento in cui le forze di destra gareggiavano in quel modo per mettere a frutto la situazione, tanto più visibile era l'assenza della sinistra, troppo impegnata nei giochi di governo per dare una risposta nelle piazze.

L'opposizione alla politica di Bertinotti

Per il prossimo congresso del PRC, al testo della maggioranza presentato dai due maggiori dirigenti, Bertinotti e Cossutta, si oppone un altro testo che si pronuncia "contro il governo Prodi e per il ritorno di Rifondazione comunista all'opposizione". E' firmato da una minoranza del Comitato politico nazionale - organo dirigente del partito - di cui la maggior parte sono militanti legati al Segretariato unificato della Quarta internazionale, come Livio Maitan, o militanti trotskisti opposti a lui, come quelli del Gruppo Proposta, Franco Grisolia e Marco Ferrando, ed anche un oppositore non-trotskista, Giovanni Bacciardi. Se si fa riferimento ai voti precedenti, tra l'altro quando già nel '94 il PRC aveva dovuto decidere di una sua eventuale partecipazione al governo, questo testo potrebbe raccogliere tra il 10 e il 15 % dei voti dei militanti. Se ne raccogliesse di più, questo sarebbe la testimonianza di un crescente malessere verso la politica di sostegno a Prodi scelta dalla direzione.

Non discuteremo qui le ragioni per cui oggi nelle file del PRC, si ritrovano buona parte dei militanti venuti dalle vecchie organizzazioni dell'estrema sinistra, tra l'altro i militanti venuti dalla sezione italiana del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale. Questa è la testimonianza della quasi completa decomposizione di queste organizzazioni, tale che, ad un certo punto, questi militanti non hanno visto altra soluzione che l'adesione al PRC, in nome di una politica di "entrismo" più o meno dichiarato. E' chiaro che ci vorrebbero un analisi ed un bilancio delle debolezze politiche che hanno portato a questa decomposizione organizzativa di un'estrema sinistra il cui numero di militanti non era affatto trascurabile.

Ma stando così le cose, e poiché fanno parte della direzione di un partito che dà un sostegno sempre più aperto ad un governo borghese, una presa di posizione contro l'orientamento della maggioranza è certo il minimo che si possa aspettare da questi compagni. E'indispensabile fare in modo che i militanti del PRC che provano un malessere nei confronti di questo orientamento lo possano esprimere. E di fronte alla politica di collaborazione di classe della direzione del PRC, è comunque indispensabile indicare l'esistenza di militanti che propongono alla classe operaia un'altra politica, fondata sulla lotta di classe, e che cercano di aprire delle prospettive rivoluzionarie. E' indispensabile farlo, non solo nei confronti dei militanti del PRC, ma anche nei confronti dell'insieme della classe operaia.

Purtroppo, la prospettiva aperta da questi compagni, così come viene rispecchiata dal testo d'opposizione, non risponde a questa necessità, o solo in parte.

Non basta infatti dichiarare che il PRC deve smettere di sostenere il governo Prodi. Questa è una scelta che lo stesso Bertinotti potrebbe alla fine essere costretto di fare, perché col passar del tempo, il costo della politica di austerità sarà sempre più sensibile per le masse popolari, e sarà sempre più difficile per i militanti del PRC di sostenere questa politica di fronte ai lavoratori. Così il Partito comunista francese, dopo tre anni di partecipazione al governo di Mitterrand, ha deciso nell'estate del 1984, le dimissioni dei suoi ministri. Ma si trattava solo per lui di cercar di salvaguardare i suoi interessi elettorali, col tornare almeno ad una finta opposizione, e non si trattava per niente di rompere con la sua politica riformista per aprire una prospettiva di lotta di classe.

Anche se fosse decisa a tornare all'opposizione, non per questo la direzione del PRC sceglierebbe una prospettiva rivoluzionaria, poiché si tratta, non di meno del PCF, di una direzione fondamentalmente riformista ed elettoralistica. Ma a maggior ragione sarebbe necessario che i militanti rivoluzionari aderenti di questo partito, non solo dichiarino la loro opposizione alle scelte attuali della direzione del PRC, ma portino avanti chiaramente la politica che sarebbe necessaria oggi, non solo da un punto di vista di partito, ma anche dal punto di vista dell'insieme della classe operaia.

Purtroppo, si fa fatica a cercare nel testo la risposta a tale questione. Si propone "il rilancio delle lotte e dei movimenti di massa", oppure di "costruire un movimento di lotta contro le privatizzazioni", di proporre $$o"una battaglia generale del mondo del lavoro per unificare il tema del salario e della riduzione d'orario". Ci si trova anche l'idea di $$o"proporre di garantire uno stipendio per i disoccupati in cerca di lavoro, come terreno unificatore di mobilitazione e di lotta partendo dal Mezzogiorno", coll'obiettivo di dare uno sbocco a tutto questo nella prospettiva della $$o"ricostruzione di un blocco sociale anticapitalista". Ma in quell'elenco, non si trova ciò che dovrebbe oggi essere la risposta della classe operaia alla crisi, la risposta all'offensiva continua della borghesia contro le sue condizioni di lavoro e di vita. Ci si trova ancora di meno la formulazione di una prospettiva rivoluzionaria, oggi, per la trasformazione della società e per il comunismo che il PRC continua però di rivendicare nel suo titolo. Tutt'al più, ci si trova l'idea che il PRC dovrebbe dare $$o"la definizione di un progetto di rovesciamento del capitalismo", e $$o"riproporre in tutto il loro spessore teorico e pratico, i temi della rottura rivoluzionaria nell'Occidente avanzato e del comunismo come prospettiva storica attuale". Anche se passiamo sul vaniloquio di tale linguaggio, rimane il fatto che il testo chiede al PRC di definire questa "prospettiva storica"... senza farlo lui stesso.

La questione non è il testo in sé, e non si tratta per noi di polemizzare a proposito di tutte le cose scritte da compagni che militano in un paese ed in un partito che essi ovviamente conoscono meglio di noi. Ma un testo rispecchia, certo con fedeltà o meno, la prospettiva in cui milita chi lo scrive. E' chiaro tra l'altro che molte cose non ci si trovano, perché si tratta di un testo di compromesso. Per esempio, se il testo propone che il PRC lasci la maggioranza di governo, non parla affatto dell'accordo di desistenza stabilito tra PRC e PDS per le elezioni, di cui il sostegno al governo Prodi era solo la conseguenza logica. La ragione sta certamente nel fatto che militanti come Livio Maitan o Giovanni Bacciardi, che hanno firmato il testo, erano in fondo d'accordo con questa politica di desistenza per "battere le destre". E i militanti che la criticavano - Franco Grisolia e Marco Ferrando - sono stati costretti a non parlarne, per riuscire a stabilire un testo comune.

Cercare di costruire une direzione rivoluzionaria... o di fare i consiglieri del PRC ?

Tale assenza è significativa. Insieme ad altre, essa traduce un fatto più fondamentale, e cioè che gran parte dei firmatari del testo, in realtà non si propongono per niente la costruzione di una direzione rivoluzionaria, e sembra che vedano il loro futuro, per un'indeterminato periodo, nel PRC in cui essi assumerebbero la parte di critici o di consiglieri di sinistra.

Chiaramente, è giusto rivolgersi ai militanti di un partito come il PRC, che lo hanno raggiunto nel '91 perché si opponeva all'abbandono della denominazione comunista da parte della maggioranza del vecchio PC, diventato PDS. Si tratta, per molti, di militanti operai, che con quest'adesione testimoniavano del loro considerarsi ancora, pur forse in modo confuso, dei fautori del comunismo. Sta di fatto che i militanti trotskisti membri oggi della direzione del PRC, qualunque cosa si possa pensare del loro percorso precedente, hanno la possibilità di rivolgersi all'insieme del partito, e devono farlo. Si capisce anche che, poiché essi si rivolgono a quel partito dall'interno, lo devono fare nel rispetto delle regole imposte loro dal fatto di far parte di quel partito. Ma non ne risulta per tanto che fosse necessario di fare dei cedimenti sulle idee e di annegare i pochi riferimenti ad una politica di lotta di classe in un vaniloquio mirante ad essere accettato meglio da qualche dirigente o intellettuale stalinoide.

Tramite i militanti operai del PRC, sarebbe necessario di rivolgersi all'insieme della classe operaia, cercando di darle una prospettiva rivoluzionaria nel modo più chiaro e più concreto possibile per l'insieme dei lavoratori. L'assenza di tale prospettiva segna il fatto che i firmatari del testo senz'altro erano più preoccupati di trovare compromessi tra di loro e di prepararsi un futuro nelle file del PRC, che di dare una prospettiva politica concreta alla classe operaia.

E' chiaro che fare questo non significherebbe necessariamente l'uscita dal PRC, ma significherebbe almeno che si sia pronti a questa eventualità nel momento in cui diventerebbe impossibile di portare avanti questa politica dall'interno. Si può dubitare che i firmatari del testo ci siano pronti davvero, quando si vede che quel testo traduce molto di più delle preoccupazioni di apparato, che la volontà di rivolgersi all'insieme dei lavoratori, sia pure per ora mediante il PRC. Quest'atteggiamento non sorprende da parte di certi oppositori che si potrebbe piuttosto considerare come degli stalinisti di sinistra, ma non è quello che si aspetterebbe da parte di militanti trotskisti.

Essere in grado di presentare un'alternativa alla politica di collaborazione di classe bertinottiana, di dare all'opposizione alla politica di austerità della borghesia il carattere di un'opposizione di classe, nelle fabbriche e nelle piazze, infine di aprire una prospettiva rivoluzionaria, questo è però il compito al quale, nel periodo che si sta aprendo, si deve preparare chi, nella classe operaia italiana, aderente del PRC o meno, vuole veramente farsi l'espressione dei suoi interessi e delle sue aspirazioni. E' un compito che non si può separare dalla prospettiva di costruire un partito operaio rivoluzionario, che sia in grado di combattere sotto la propria bandiera davanti all'insieme della classe operaia.

Certo, molti militanti dell'attuale opposizione interna del PRC ne avrebbero il sincero desidero. Ma, a giudicare da questo testo, bisogna constatare che quest'opposizione non vi si prepara molto, né dal punto di vista organizzativo, né dal punto di vista politico. (25 ottobre 1996)