Siria: grandi manovre russe ed occidentali attorno ad un paese devastato

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20 novembre 2016

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(Da "Lutte de Classe" n° 171 (Novembre 2015)

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All'inizio di settembre 2015, François Hollande si è lanciato in una nuova avventura guerresca ordinando bombardamenti aerei contro lo Stato islamico (Isis o Daech in arabo) in Siria, quando fino ad ora l'imperialismo francese si era limitato a combattere questo gruppo armato in Iraq. I motivi invocati sono sempre più ipocriti. Lottare contro il terrorismo? Ma è precisamente il terrorismo di Stato delle grandi potenze a creare l'humus nel quale cresce il jihadismo. Si dice di voler aiutare le popolazioni siriane che fuggono la barbarie di Daech e nel contempo le si bombarda. Chi può ancora credere ai "bombardamenti chirurgici", che ucciderebbero i jihadisti e risparmierebbero i civili? Senza dimenticare il fatto che, nella stessa Francia, il numero di migranti che il governo si vanta di accogliere è irrisorio in proporzione alla catastrofe in corso in Siria.

Lo Stato che ha potenziato il suo intervento militare e diplomatico in Siria non è la Francia ma la Russia. Quindi, se si organizza una nuova coalizione, dichiarata o ufficiosa, e se ci si avvia verso una composizione politica della questione siriana, l'imperialismo francese vuole essere presente per poter difendere i propri interessi. Questa è la vera ragione dell'intervento militare francese, anche se concretamente questo incida ben poco.

Se i mass media hanno presentato il potenziamento militare russo in Siria come una sorpresa, non era di certo tale per i dirigenti delle grandi potenze, a cominciare dagli Stati Uniti. Far passare per settimane, attraverso lo stretto del Bosforo, decine di navi militari in transito dal Mar Nero alla base russa di Tartus, situata sulla costa mediterranea della Siria, inviare decine di caccia e bombardieri sull'aeroporto di Lattaquia a nord di Tartus, evidentemente non è stato possibile senza che i servizi d'informazione americani, di certo avvisati in anticipo, lo sapessero o lo avessero approvato.

Quando, lunedì 28 settembre, Obama ha ricevuto Putin a New York, in occasione dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, lo ha immediatamente e apertamente trattato come alleato potenziale nel conflitto militare siriano.

Le dichiarazioni esasperate di dirigenti americani e francesi in occasione dei primi bombardamenti russi contro "l'opposizione siriana" al dittatore Bachar Al-Assad sono stati solo di facciata. Se tali bombardamenti avessero realmente scontentato gli Stati Uniti, questi non si sarebbero limitati a semplici dichiarazioni. In realtà, l'intervento russo si colloca in un riorientamento della strategia dell'imperialismo americano, iniziato da almeno due anni. L'imperialismo USA, per tentare di risolvere il problema creato dal caos in Siria ed Iraq, di cui tra l'altro è all'origine, cerca di appoggiarsi a forze che aveva precedentemente combattuto: alcune milizie integraliste sciite irachene e l'Iran che le sostiene, le milizie curde della Siria e, infine, lo stesso regime di Bachar Al-Assad. Ed esso conta sul contributo delle forze militari dispiegate da Putin.

Le relazioni della Siria con la Russia e le potenze imperialiste

I legami dei dirigenti della Russia, e di quelli dell'URSS prima di loro, con la dittatura siriana risalgono a tempi lontani. I regimi nazionalistici arabi di Siria, Iraq, come pure dell'Egitto, avevano stabilito legami economici e diplomatici con l'URSS fin dagli anni '50. Così, all'inizio degli anni '70, sotto la dittatura di Hafez Al-Assad, padre di Bachar, il porto di Tartus, alla cui ristrutturazione l'URSS aveva contribuito, diventò una base navale sovietica.

Allorché nel 2011, sullo slancio di quella che fu detta "la primavera araba", Bachar Al-Assad fu contestato da manifestazioni popolari, quei legami di lunga data fecero sì che la Russia votasse sempre contro qualunque intervento ONU in Siria. Già all'epoca, questa posizione russa, in realtà, conveniva ai dirigenti occidentali, che potevano così permettere alla dittatura di reprimere la contestazione popolare senza dover giustificare la loro complice passività di fronte alla propria opinione pubblica.

Una volta schiacciato il movimento popolare, la contestazione del potere siriano prese la forma delle milizie armate, di cui alcune ultra reazionarie, sostenute da potenze regionali quali la Turchia, l'Arabia Saudita, la Giordania e il Qatar. Gli Stati Uniti, e nella loro scia le altre potenze imperialiste occidentali, colsero l'occasione per provare a sbarazzarsi di Bachar Al-Assad. Il regime siriano, pur non avendo più nulla delle caratteristiche anti-imperialiste del nazionalismo arabo degli anni '50, non era neppure completamente sottomesso alla politica dell'imperialismo nella regione.

Questo tentativo fu un fallimento. Il regime di Assad, anche se molto indebolito, riuscì a restare in piedi. Dalla miriade di milizie finanziate ed armate direttamente dalle potenze regionali ed indirettamente da grandi potenze quali gli Stati Uniti e la Francia, non emerse alcuna forza capace di rappresentare un'alternativa ad Assad... se non alla fine l'Isis, che risultò ancora meno controllabile dall'imperialismo che non il regime siriano.

Quindi, anche se gli Stati Uniti hanno continuato a condannare a parole la dittatura di Assad e a finanziare e ad armare gruppi militari che gli si opponevano, hanno cominciato a preparare una politica alternativa imperniata su Russia ed Iran, i due alleati di Assad. Così, nella primavera del 2015, venne organizzata un'offensiva militare contro l'Isis in Iraq con l'avallo degli Stati Uniti, che radunarono truppe del governo ufficiale iracheno e milizie sciite che precedentemente si erano opposte alla presenza americana in Iraq. Tutto ciò si svolse sotto la direzione di un generale iraniano, capo delle brigate speciali iraniane al Qods.

Questo mutamento repentino di atteggiamento nei confronti del dittatore siriano non è davvero tale. Da quando gli Stati Uniti, alla fine della seconda guerra mondiale, divennero l'imperialismo dominante in questa regione del mondo, essi non smisero di cercare fra le forze presenti quelle su cui potevano fare affidamento per affermare la loro politica del momento e per combattere quelle che ci si opponevano. Per decenni, il regime siriano, a causa del suo nazionalismo e dei suoi legami con l'URSS, venne messo all'indice. Ciò non impedì agli Stati Uniti di sollecitarlo quando ne avevano puntualmente bisogno. Fu con il beneplacito del governo americano che le truppe di Hafez Al-Assad entrarono nel Libano nel 1976 per stabilizzare la situazione in questo paese. Fu sotto la pressione degli Stati Uniti che le stesse truppe lasciarono il Libano nel 2005.

Dal 2008 al 2011 la dittatura siriana fu di nuovo considerata rispettabile. Bachar Al-Assad fu invitato da Sarkozy a Parigi per la sfilata del 14 luglio 2008, e fu concluso un trattato di libero scambio tra la Siria e la Turchia di Erdogan nell'ambito della "nuova politica ottomana" di quest'ultimo. Le scelte dell'imperialismo, a cominciare da quelle dell'imperialismo americano, contribuirono ogni volta a suscitare tali cambiamenti.

Per quanto riguarda la Russia, è stata di certo la minaccia di un'avanzata delle milizie anti-Assad su Tartus, la sua ultima base navale in Mediterraneo, a spingerla ad intervenire. Ma i suoi obiettivi vanno ben oltre. Putin, inviando una forza militare importante, si propone di svolgere un ruolo centrale nella lotta contro l'Isis, cercando di promuovere contro di essa una nuova coalizione con le truppe di Assad, del governo iracheno, dell'Iran e con le milizie curde. Così, alla fine di settembre, la Russia ha creato a Bagdad un gruppo di coordinamento in materia di informazioni e sicurezza che comprende, oltre ad essa, l'Iraq, l'Iran e la Siria.

La Russia, pur cercando di difendere i propri interessi nella regione, si prepara dunque a svolgere il ruolo di coordinatore della lotta anti-Isis, ben conscia che così assume un compito svolto fino ad allora esclusivamente dall'imperialismo americano, quest'ultimo surclassato dalla situazione che esso stesso ha creato. I dirigenti americani non ritengono affatto di inviare le loro truppe sul terreno. La loro ultima spedizione militare del genere, quella in Iraq nel 2003, riuscì soltanto a generare caos, confusione e soprattutto a far emergere forze che, dal punto di vista degli interessi imperialisti, erano molto meno controllabili di quelle che ci si era prefissi di combattere con tale intervento.

In Siria, la Russia e gli Stati Uniti, pur restando rivali, sono innanzitutto complici ed i loro interessi sono più convergenti che contraddittori.

Il quotidiano Le Figaro ha recentemente pubblicato le dichiarazioni di una fonte anonima vicina ai servizi d'informazione americani, contattata il 4 ottobre, poco dopo i primi bombardamenti russi. Essa affermava, secondo il giornale, che la speranza di una cooperazione con i russi è al centro della strategia americana. "Tutti i clamori che sentite sul fatto che gli americani si sono fatti prendere di sorpresa da Mosca sono falsi!" così diceva la fonte, che spiegava come gli Stati Uniti avessero iniziato "da mesi" conversazioni con i russi e come, nonostante il disaccordo sulla sorte di Assad, " Mosca e Washington abbiano interessi comuni" che "gli americani provano a sfruttare per risolvere il conflitto". "È molto difficile, ci vorranno sette a dieci anni. Ma non dimenticate che i russi li hanno aiutati con l'Iran. Il gruppo 5 + 1 (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina e Germania, NDLR) è sempre attivo, l'idea è di utilizzarlo per risolvere la crisi siriana, portando attorno allo stesso tavolo i paesi del Golfo, la Turchia e gli altri. I francesi ci aiutano" continuava questa fonte.

La barbarie delle milizie islamiste

I primi bombardamenti russi hanno toccato solo molto parzialmente l'Isis, hanno invece colpito soprattutto le altre milizie dell'opposizione ad Assad, perché minacciavano più direttamente il dittatore siriano, e di conseguenza le basi dell'esercito russo in Siria. Ciò ha dato luogo alle dichiarazioni irritate degli occidentali, a cominciare dai dirigenti francesi. "I russi colpiscono i resistenti ed i civili", ha detto Laurent Fabius, ministro degli esteri francese: " Sostenere la lotta contro l'Isis, sì lo facciamo! I nostri aerei sono andati laggiù per bombardarlo. Ma se si tratta, come risulta dalle informazioni ricevute, di sottolineare falsamente di lottare contro l'Isis per colpire i resistenti e consolidare Bachar, allora no!"

Fabius, da buon professionista della diplomazia, ovviamente non si fa alcun scrupolo ad ergersi a difensore delle popolazioni civili siriane nello stesso momento in cui l'esercito francese impegna la sua aviazione in bombardamenti che uccideranno anche i civili. D'altra parte, i gruppi che Fabius chiama pudicamente "resistenti" sono in realtà, nella loro grande maggioranza, delle milizie islamiste. Le milizie che combattono il regime di Bachar Al-Assad sono tanto rivali quanto alleate e non hanno nulla da invidiare all'Isis per quanto riguarda sia la barbarie di cui sono capaci sia le idee reazionarie a cui fanno riferimento.

In questa opposizione così tanto rispettabile agli occhi di Fabius, i gruppi militari più importanti oltre all'Isis sono il Fronte al-Nosra, legato ad al-Qaida, il gruppo Jaysh Al-islam ("armata dell'islam") e il gruppo Ahrar al-Sham di cui alcuni responsabili sono stati, per un periodo della loro carriera di jihadisti, nel gruppo Stato islamico in Iraq, antesignano dell'Isis.

Agli occhi delle grandi potenze occidentali, la cosa che rende più accettabili questi "resistenti", per riprendere l'espressione di Fabius, è il fatto che, a differenza dell'Isis, essi affermano di voler limitare alla Siria la propria battaglia e giurano che non porteranno la jihad fuori da questo paese. In ogni caso, non cambia molto per la popolazione siriana.

Così, all'inizio della primavera 2015, il Fronte Al-Nosra ed il gruppo Ahrar al-Sham si sono coalizzati con altre milizie per formare l'Esercito della conquista, in occasione di un'offensiva che ha portato alla presa della città di Idlib nel nord-ovest della Siria. Il sistema di vita creato da questa coalizione somiglia tremendamente a ciò che l'Isis impone nelle regioni che cadono sotto il suo controllo: imposizione forzata della sharia, obbligo per i negozi di chiudere durante la preghiera, persecuzione delle coppie infedeli, adulteri lapidati in pubblico. In giugno, una ventina di persone di confessione drusa sono state assassinate in un villaggio in seguito ad un semplice alterco con membri di Al-Nosra. Qatar e Arabia Saudita, che finanziano questo esercito della conquista, temendo che esso sfugga dal loro controllo o addirittura che faccia alleanza con l'Isis, prevedono di appoggiarsi ad una terza milizia, l'esercito dell'islam, presente soprattutto nei sobborghi di Damasco e diretto da Zahran Allouch, un salafista convinto.

I gruppi militari dell'esercito siriano libero (ASL) non si sono mai unificati davvero ed hanno sempre costituito un insieme molto disparato. In alcune regioni, dietro a questa etichetta agiscono truppe molto vicine alle milizie islamiste. In occasione dell'offensiva su Idlib, truppe dell'ASL sono confluite nell'esercito della conquista. In altre regioni, al contrario, esse vengono annientate dalle milizie jihadiste. Nel corso dell'autunno 2014 e dell'inverno 2015, il Fronte al-Nosra ha così sterminato due gruppi dell'ASL.

Nel febbraio 2015 gli Stati Uniti avevano annunciato di aver predisposto, in Turchia e in Giordania, un programma d'addestramento e di formazione per 15000 combattenti siriani ad opera di istruttori americani . Nel settembre 2015, solo 54 combattenti erano stati formati. Un generale americano ha anche ufficialmente riconosciuto che solo "quattro o cinque" combattenti erano permanentemente attivi in Siria. Infatti, la cinquantina di soldati inviati durante l'estate per combattere l'Isis, la cosiddetta Divisione 30, fu attaccata e catturata dal Fronte Al-Nosra, per poi raggiungere le truppe della milizia jihadista con sei autocarri carichi di missili e munizioni.

Gli Stati Uniti, di fronte a questa situazione uscita dal loro controllo, hanno scelto di sostenere le milizie curde siriane, le Unità di protezione del popolo curdo (YPG), che con un certo successo combattono l'Isis nel nord-est della Siria. Questo appoggio è cominciato a Kobane, città curda a ridosso della frontiera turca e accerchiata dall'Isis nel settembre 2014. I bombardamenti degli Stati Uniti hanno aiutato in extremis le milizie curde a respingere l'offensiva islamista. Gli Usa hanno poi continuato a sostenerle quando tali milizie hanno ripreso all'Isis la città siriana di Tal Abyad confinante con la Turchia e punto di passaggio delle armi, del petrolio e delle reclute per l'organizzazione jihadista.

Non c'è ovviamente alcuna ragione umanitaria nelle scelte americane. Fra i gruppi armati esistenti, le YPG sono le uniche capaci di fronteggiare l'Isis con una certa efficacia militare. D'altra parte, gli Stati Uniti sono riusciti a negoziare il proprio sostegno grazie alla mediazione dei dirigenti curdi dell'Iraq, intervenuti al momento dell'assedio di Kobane. Questi ultimi sono alleati degli Stati Uniti dall'intervento del 2003 in Iraq, anzi, si può dire dall'intervento precedente, durante il quale gli Stati Uniti hanno dato loro la possibilità di controllare in modo quasi autonomo il Curdistan iracheno e le sue riserve petrolifere.

Il governo turco ha ovviamente difficoltà ad accettare il sostegno americano alle milizie curde. Per il presidente Erdogan, le YPG sono gli alleati siriani del partito dei lavoratori del Curdistan (PKK) turco, ritenuto l'organizzazione terroristica numero uno da schiacciare. Del resto, esso stesso fa di tutto per indebolire le YPG, continuando a fornire aiuti all'Isis attraverso la frontiera turco-siriana.

La scelta americana di permettere alla Russia di organizzare una nuova coalizione contro l'Isis, appoggiandosi al regime di Assad, all'Iran, alle milizie irachene sciite e alle milizie curde, ha spiazzato molti alleati tradizionali degli Stati Uniti. La Turchia, l'Arabia Saudita e il Qatar, oltre al sostegno alle milizie curde, non vedono di un buon occhio l'integrazione di Assad ad un fronte anti Isis, così come il fatto che i loro alleati sul campo militare siriano, queste milizie islamiste che essi stessi hanno contribuito ad organizzare, siano bersagli al pari dell'Isis. E non piace loro nemmeno il ritorno in primo piano dell'Iran, potente rivale regionale. È probabile tuttavia che, visti gli interessi economici e politici che legano questi paesi agli Stati Uniti, pur tentando di continuare a difendere sottobanco i propri interessi, dovranno finire per ingoiare il rospo e adeguarsi al nuovo orientamento americano.

La sollecitudine francese verso le monarchie petrolifere

Le contraddizioni della diplomazia americana hanno avuto un'altra conseguenza. Hanno aperto nuove opportunità all'imperialismo di second'ordine qual è la Francia. I dirigenti francesi non hanno perso l'occasione di farsi interpreti delle proteste dell'Arabia Saudita, in particolare quando gli Stati Uniti hanno iniziato a negoziare con l'Iran il suo programma nucleare. È per questo che Hollande, Valls e Fabius sono stati fra quelli che hanno più protestato contro i bombardamenti russi sulle milizie sostenute dall'Arabia Saudita.

Accontentarsi degli avanzi della diplomazia americana può fruttare. Gli affari sono andati a gonfie vele, dai cantieri del mondiale di calcio nel Qatar assegnati a Bouygues, Vinci e soci, agli aerei Rafale di Dassault venduti al Qatar ed all'Egitto grazie ad un finanziamento saudita, così come i portaelicotteri Mistral,. E non è finita. In occasione dell'ultimo spostamento di Valls nel Medio-Oriente a metà ottobre, erano in gioco 50 miliardi di contratti e investimenti riguardanti i settori dell'industria militare, del nucleare e dell'aeronautica. Per il settore nucleare c'è un progetto di costruzione di due reattori EPR per Areva e EDF, per quello dell'aeronautica si punta alla vendita di Airbus A350 ed A380 per la flotta di Saudia Airlines. Vi è pure un'offerta di Thales, del valore di 4,5 miliardi di dollari, per l'ammodernamento dei sistemi di difesa antiaerea dell'esercito saudita. Un'offerta che era stata respinta tre anni fa a vantaggio di un concorrente americano, ed ora tornata di nuovo a galla. Cosa non farebbero gli straricchi principi sauditi per ingraziarsi l'imperialismo francese quale portavoce delle loro ambizioni contrastate dagli interessi superiori dell'imperialismo americano nel Medio-Oriente...!

L'imperialismo francese, infine, appoggiandosi alle monarchie petrolifere, cerca di ottenere dei punti di sostegno nella prospettiva di un'eventuale soluzione politica per quanto riguarda la situazione siriana. Tutti gli attori sono consapevoli che occorrerà accordarsi con il regime di Assad per tentare di porre fine al caos ed instaurare un potere politico di transizione. Ma con quali altre forze? E quali legami avranno le diverse potenze regionali e imperialiste con questo nuovo potere? La posta in gioco, per l'imperialismo francese. è l'accesso alle risorse della regione come, ad esempio, il petrolio, ma anche agli eventuali mercati che si creeranno con la ricostruzione. In questa prospettiva, i sostegni saudita e qataro possono essere importanti.

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L'intervento della Russia riuscirà a stabilizzare realmente la situazione in Siria e più globalmente in una regione dove milioni di donne e di uomini, nell'arco di pochi anni, hanno visto la loro vita piombare nell'inferno della guerra civile? Le ingerenze accumulate dalle potenze imperialiste negli ultimi decenni hanno introdotto un tale livello di caos in questa regione, e, d'altra parte, l'economia capitalista si trova in un tale ristagno che ci si chiede se davvero, in tale contesto, ci potrà mai essere una stabilizzazione duratura. Tanto più che tutte le potenze fanno il doppio gioco, da un lato partecipando alla lotta contro l'Isis, e dall'altro muovendo come pedine pure le proprie creature. E c'è da scommettere che le ultime manovre degli uni e degli altri non porranno fine al caos, tuttalpiù modificheranno la ripartizione dei ruoli sviluppando nuove forze sempre più reazionarie.

Molti presentano l'opposizione tra il campo di Assad, dell'Iran e dei curdi da un lato, e quello dell'Isis, delle milizie islamiste, dell'Arabia Saudita, del Qatar e della Turchia dall'altro, come un'opposizione fondamentalmente tra un campo sciita ed un campo sunnita. Questo è confondere la sostanza con la forma, e significa anche attribuire la responsabilità della barbarie alle popolazioni che la subiscono ed al loro supposto settarismo religioso. In molte regioni della Siria, ancora pochi anni fa, le popolazioni vivevano mescolate senza problema. È stata la politica dell'imperialismo a produrre queste divisioni e ad inasprirle. È sempre stato un principio di base della politica imperialista aizzare le popolazioni le une contro le altre al prezzo di far scorrere fiumi di sangue.

Finché le relazioni capitalistiche domineranno l'organizzazione sociale, quelle imperialiste domineranno i rapporti tra i popoli. Non si elimineranno le une senza eliminare le altre. Per questo la sorte dei popoli del Medio-Oriente e la situazione degli sfruttati sono qui strettamente collegate.

17 ottobre 2015