Il trotskismo, l'unico programma per l'emancipazione degli sfruttati

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20 ottobre 2018

Relazione del circolo Lev Trotsky del 20 ottobre 2018

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Ottant'anni fa, il 3 settembre 1938, una ventina di attivisti provenienti da dodici paesi si riunirono in una zone residenziale di Parigi: Stati Uniti, Unione Sovietica, Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Brasile, Polonia, Belgio, Austria, Paesi Bassi. Fondarono la Quarta Internazionale e adottarono come programma un testo scritto da Leon Trotsky qualche mese prima, il Programma di transizione.

La decisione di creare una Quarta Internazionale è stata presa da Trotsky, allora esiliato e bloccato in Messico. Fu un atto politico importante che significava che la Terza Internazionale, quella creata sulla scia della rivoluzione russa, era politicamente morta e aveva definitivamente tradito il suo obiettivo di essere il partito mondiale della rivoluzione socialista. Stalin l'aveva trasformata in uno strumento della sua diplomazia. Ed era giunto il momento di ricostruire il movimento operaio sotto la bandiera di una nuova Internazionale.

Coloro che, nel movimento comunista internazionale, avevano raggiunto il movimento trotskista rappresentavano una minoranza molto piccola rispetto a quelli che restavano sotto il controllo dello stalinismo. E soprattutto, la nave ammiraglia della corrente rivoluzionaria, i trotskisti sovietici, erano quasi tutti morti nei campi di Stalin.

Ma questa decisione di creare una nuova Internazionale fu fondamentale perché nel 1938, anche se Trotsky e i suoi compagni erano calunniati e perseguitati dagli uomini di Stalin, Trotsky rimaneva conosciuto in tutto il mondo, conosciuto come uno dei principali dirigenti della Rivoluzione Russa e compagno di Lenin. Trotsky incarnava il rifiuto di arrendersi all'apparato stalinista. E nello stesso tempo in cui sottoponeva il regime stalinista ad una critica spietata dal punto di vista del comunismo rivoluzionario, egli difendeva incondizionatamente l'URSS contro le potenze imperialiste.

Era la "mezzanotte del secolo", per usare l'espressione di Victor Serge, un militante anarchico belga, che aveva raggiunto la rivoluzione russa e partecipato alla lotta dei trotskisti in URSS. Hitler era al potere in Germania. Questo significava, come scrisse Trotsky già nel 1933, che l'imperialismo tedesco, a capo di una delle più grandi potenze industriali del mondo, soffocando all'interno dei suoi confini, dopo aver sottomesso la sua classe operaia, avrebbe attaccato i suoi diretti concorrenti, gli imperialismi francese e inglese, e che l'umanità sarebbe stata di nuovo precipitata nella guerra mondiale. In realtà, la guerra c'era già. In Spagna, sui campi di battaglia della guerra civile, le aviazioni e gli eserciti di Hitler e Mussolini seminavano la morte. La Cina era stata invasa dal Giappone, che commetteva massacri di massa. E Mussolini aveva già conquistato l'Etiopia.

Nel settembre 1938, Trotsky aveva una migliore comprensione della situazione mondiale e dello stato del movimento operaio di chiunque altro. Ma voleva preparare la classe operaia alla guerra e alle rivoluzioni future. Voleva darle un programma, nella continuità della rivoluzione russa e delle idee di Marx, e un'organizzazione internazionale. E cio' anche se questa organizzazione era numericamente molto debole.

Trotsky sapeva bene che, finché le masse non si fossero sollevate, l'intero programma poteva toccare solo una piccola minoranza. Ma con questo programma, questa minoranza avrebbe potuto militare in direzione del resto della classe operaia.

Ancora oggi, il futuro del movimento operaio e quindi il futuro dell'umanità sono legati a questo programma. Perché quando il proletariato si metterà in movimento, se si appopria questo programma, potrà rovesciare il capitalismo.

Arlette Laguiller

I - Il trotskismo, l'eredità della rivoluzione russa e del bolscevismo

I vent'anni di lotta di classe di eccezionale ricchezza e intensità politica, senza pari nella storia del movimento operaio, che costruirono il trotskismo, erano iniziati con l'evento che aveva destabilizzato l'intero sistema capitalista, la rivoluzione russa del 1917. Il trotskismo è prima di tutto l'eredità della rivoluzione russa.

Quando la rivoluzione scoppiò in Russia, dopo due anni e mezzo di guerra mondiale, sorprese tutti. Come scrisse Trotsky anni dopo: "Anche Lenin relegava la rivoluzione socialista ad un futuro più o meno lontano (...) [E] se Lenin vedeva la situazione in questo modo, non c'è neanche bisogno di parlare degli altri".

La rivoluzione aveva germinato sul fronte, nel fango e nel freddo delle trincee della sporca guerra imperialista che i capitalisti stavano conducendo sulla pelle dei popoli e dove gli uomini morivano come topi sotto bombe, gas e colpi di mitragliatrici. Aveva germinato nelle retrovie, dove le operaie e gli operai morivano di fame e di sfinimento nelle fabbriche di armamenti. La rivoluzione scoppiò in Russia perché era "l'anello più debole della catena dell'imperialismo", come aveva detto Lenin, il paese più arretrato, dall'odiato regime zarista, già scosso dodici anni prima da una prima rivoluzione, quella del 1905.

Poi, l'8 marzo 1917(1), con sorpresa di tutti, furono le operaie e le donne del popolo di San Pietroburgo che, protestando contro la penuria e i problemi di approvvigionamento, scesero in piazza. Cosa avrebbero fatto gli operai? Le avrebbero lasciate sole? Il giorno dopo, quando gli operai le ebbero raggiunte, cosa avrebbero fatto i soldati, contadini in divisa? Avrebbero raggiunto la rivolta e l'avrebbero trasformata in una rivoluzione? In cinque giorni, tutto i nemici dello zarismo, cioè quasi tutta la società, si coalizzo' e il regime fu rovesciato. E fu solo l'inizio.

In un primo tempo, i grandi vincitori furono i borghesi e i loro alleati delle grandi potenze imperialiste, Francia e Gran Bretagna, con cui intendevano continuare la guerra sulla pelle dei soldati per soddisfare il loro appetito di annessioni. Quindi, se gli operai e i soldati volevano davvero porre fine alla guerra, dovevano andare oltre.

La rivoluzione non sarebbe andata oltre se non ci fosse stato Lenin, la sua ostinazione e la sua fiducia costante nella classe operaia e nelle masse più arretrate. E se non ci fosse stato il partito bolscevico che era stato creato, formato e sviluppato da anni per condurre la rivoluzione più lontano possibile nell'interesse degli oppressi. Il partito bolscevico era un partito comunista rivoluzionario che collegava il destino degli oppressi in Russia a quello degli oppressi in tutto il mondo per rovesciare il capitalismo. La rivoluzione dell'Ottobre 1917, che otto mesi dopo febbraio portò al potere i bolscevichi, nacque dalla congiunzione di questa consapevole prospettiva rivoluzionaria incarnata dal partito bolscevico di Lenin, con la necessità per milioni di oppressi di andare fino in fondo alla lotta che avevano avviato, se non volevano ritornare indietro.

E insieme, non indietreggiarono; nonostante la borghesia e le classi dirigenti minacciassero di schiacciarli, nonostante le pressioni della piccola borghesia che pretendeva di guidare i proletari dall'alto delle sue conoscenze ma che in realtà esprimeva solo la sua sottomissione alla borghesia, e anche nonostante le esitazioni provenienti dalle loro stesse file. "Hanno osato", come ha scritto dalla sua prigione la rivoluzionaria tedesca Rosa Luxemburg. "Hanno dato l'assalto al cielo", come aveva detto Marx a proposito della Comune di Parigi. Hanno osato contare sulle masse analfabete e sui più umili, sulla loro consapevolezza emergente e sul loro desiderio di emanciparsi dalle loro catene e dalla loro sottomissione.

La guerra aveva insanguinato l'Europa. E la rivoluzione stava germinando ovunque. Ci è voluto meno di un anno perché scoppiasse in Finlandia, Germania e Ungheria. Decine di milioni di sfruttati in tutto il mondo rimisero in causa l'ordine sociale, creando paura e odio tra le classi dirigenti di tutto il mondo. In una nota riservata, il primo ministro britannico Lloyd George scrisse nel 1919:

"Tutta l'Europa è piena di spirito rivoluzionario. C'è un profondo sentimento non solo di malcontento, ma anche di rabbia e rivolta da parte dei lavoratori contro le loro condizioni prebelliche. L'intero ordine sociale esistente, nei suoi aspetti politici, sociali ed economici, è messo in discussione dalle masse della popolazione da un capo all'altro dell'Europa."

Nel marzo del 1919, i bolscevichi fondarono una nuova internazionale, l'Internazionale comunista, per permettere ai lavoratori di tutti i paesi di rompere con i partiti socialisti che li avevano traditi nel 1914. Partiti comunisti furono fondati ovunque.

Durante questa ondata rivoluzionaria si formarono repubbliche sovietiche in Ungheria, Baviera e Slovacchia. L'Italia conobbe un'ondata di scioperi con occupazione di fabbriche da parte di lavoratori armati e organizzati in milizie proletarie. Ma le rivolte e le rivoluzioni furono schiacciate. L'ondata rivoluzionaria si stava ritirando. Aveva impedito le forze imperialiste di rovesciare il potere risultante dalla rivoluzione in Russia. Ed era ancora in piedi alla fine della guerra civile, nel 1920. Ma si ritrovava isolato.

La lotta dell'opposizione di sinistra in Unione Sovietica

Nessun rivoluzionario aveva mai immaginato questa situazione. La vittoriosa rivoluzione mondiale, l'economia mondiale presa in mano dagli sfruttati, riorganizzata e pianificata secondo i bisogni di tutta l'umanità, era il futuro comunista. Ma cosa poteva fare un'Unione Sovietica circondata dal capitalismo, ridotta alle sue sole risorse umane, terribilmente arretrate? L'Unione Sovietica era enorme con un'eccezionale ricchezza di materie prime, ma lo sviluppo industriale durante l'era zarista era stato debole. La stragrande maggioranza della popolazione era costituita da agricoltori molto poveri, con metodi di coltivazione molto rudimentali. E il livello culturale generale era notevolmente inferiore a quello dell'Occidente.

La giovane classe operaia russa, uscita dalla campagna solo da una o due generazioni, era molto meno formata e istruita di quella dei paesi sviluppati. Nel corso degli anni di lotta contro lo zarismo, aveva fatto emergere dalle sue fila centinaia di migliaia di combattenti consapevoli. E la rivoluzione era stata, come disse Lenin, "nei momenti di particolare esaltazione e tensione di tutte le facoltà umane, opera della consapevolezza, della volontà, della passione, dell'immaginazione di decine di milioni di esseri umani spinti dalla più aspra lotta di classe."

Ma dopo aver preso il potere, il problema si poneva su una scala completamente diversa. La nuova società si basava sulla partecipazione diretta e attiva delle masse. Alla base del nuovo Stato c'erano i soviet, questi comitati, organi di democrazia operaia, eletti dai lavoratori e dai contadini poveri. Ma l'azione delle masse non si limitava a questo. A tutti i livelli della vita economica e sociale, nelle aziende, nelle amministrazioni, nelle scuole, nelle città e nelle campagne, decine e decine di milioni di oppressi erano chiamati a partecipare alla gestione concreta della società.

Ci fu un accanito e generale desiderio di istruirsi, di imparare, di combattere l'analfabetismo, l'ignoranza e la superstizione, affinché "il primo manovale o il primo cuoco venuto" potesse controllare lo Stato, come aveva detto Lenin. Ma il peso dell'arretratezza era immenso, così come il paese.

Isolata politicamente ed economicamente, l'Unione Sovietica non poteva uscire dal suo sottosviluppo ereditato dallo zarismo. Ed è cio' che sarà all'origine della sua degenerazione e del dominio di una burocrazia personificata da Stalin. Trotsky nel suo libro La rivoluzione tradita, riassunse questo legame tra l'arretratezza del paese e il peso della burocrazia con l'immagine di una coda davanti a un negozio:

"Quando si sono abbastanza merci nel negozio, i clienti possono venire in qualsiasi momento. Quando ci sono poche merci, gli acquirenti sono costretti a fare la fila alla porta. Non appena la coda diventa molto lunga, la presenza di un agente di polizia è essenziale per mantenere l'ordine. Questo è il punto di partenza della burocrazia sovietica. Lei "sa" a chi dare e chi deve aspettare."

Lo sviluppo della burocrazia era cominciato fin dall'inizio del nuovo regime. I bolscevichi erano consapevoli dei "pericoli professionali del potere", come direbbe più tardi un dirigente dell'opposizione trotskista, Khristian Rakovsky. I bolscevichi sapevano che ogni stato crea una burocrazia. Ma contavano sull'azione diretta delle masse per contenere il fenomeno burocratico e sull'estensione della rivoluzione ai paesi sviluppati dell'Europa per poterlo eliminare definitivamente.

Ma l'isolamento dell'Unione Sovietica la costrinse a resistere con le sue sole risorse fino all'avvento di ulteriori periodi rivoluzionari. Quindi, per rilanciare l'economia e nutrire il paese, tenendo conto della sua arretratezza, il potere decise di ridare un po' di ossigeno all'iniziativa privata. Schiuse uno spiraglio alla possibilità di un arricchimento personale, una nuova politica economica che permetteva ad agricoltori, piccoli industriali o intermediari commerciali di arricchirsi. Si trattava di avvalersi delle forze capitaliste per rilanciare la produzione, ma sotto il controllo dello Stato operaio. Lenin sapeva che il rafforzamento di queste forze sociali ostili doveva essere sorvegliato attentamente e che questo era il compito del partito.

Ma l'eroismo della guerra civile, dove tutte le forze erano state tese alla sopravvivenza della rivoluzione, aveva divorato l'energia di donne e uomini. E di fronte alle difficoltà della vita quotidiana combinate al riflusso dell'ondata rivoluzionaria internazionale, i lavoratori avevano in parte perso la speranza e abbandonato i soviet. Senza questo controllo permanente degli oppressi, la piccola borghesia nelle città e nelle campagne cominciò ad esercitare pressioni sulla burocrazia dello stato e del partito per ottenere vantaggi.

Se queste forze sociali agivano sul partito, a volte corrompendo alcuni dei suoi membri, era anche dal partito che sarebbe potuta venire la lotta contro di loro. Lenin, sebbene malato, voleva guidare questa lotta, con Trotsky, contro Stalin che personificava già la burocrazia. Ma la malattia colpi' Lenin. Privo delle facoltà di parlare e di muoversi, non fu in grado di condurre la sua ultima battaglia. Fu quindi Trotsky che se ne occupo'. Bisognava ricondurre il partito allo spirito rivoluzionario del 1917, riunendo tutti coloro che, soprattutto fra i giovani, tenevano viva in loro questa fiamma per poi convincere gli altri e farli aderire. Gli operai rivoluzionari si trovavano all'interno del partito.

Per dare un'idea concreta di questa lotta, le memorie del trotskista Grigory Grigorov meritano di essere ampiamente citate. Alla fine del 1923, Grigorov, che aveva raggiunto il partito come combattente dell'Armata Rossa, fu mandato in un centro tessile industriale, Rodniki. Nelle sue memorie, egli descrive la situazione della classe operaia e quella dei membri dell'apparato locale del partito:

"La maggior parte degli operai viveva in miserabili case di legno, sull'orlo del crollo, in cui, per mancanza di combustibile, faceva freddo. Si formavano enormi code per l'acquisto di prodotti alimentari. (...)

I membri del comitato locale del partito ricevevano tutti i prodotti di cui avevano bisogno in un centro di distribuzione non aperto al pubblico, situazione che consideravano perfettamente normale. Il livello morale del personale del partito era molto basso: consumavano vodka e torcibudella artigianale anche al lavoro, e la sera giocavano a carte e festeggiavano. La giovane attivista che dirigeva il settore femminile del comitato del partito mi aveva invitato a una riunione delle operaie tessili. Lì, affermo' con entusiasmo che il potere sovietico aveva dato alle donne una totale libertà. Ma per quanto la riguardava, questa famosa "libertà" aveva un lato penoso - soffriva di una malattia venerea. (...) si offese con una franchezza alla quale non ero molto abituato: "Puoi immaginare questo "regalo" che mi ha fatto un bastardo del comitato del partito!"

Grigorov rimase lì per diversi giorni e fu invitato ad una riunione dei membri del partito di una fabbrica. L'incontro iniziò con il discorso del direttore, Balakhnin, un membro del partito naturalmente:

"[Balakhnin] iniziò elencando i servizi che aveva reso in passato alla classe operaia. Così facendo, sembrava molto soddisfatto di se stesso (...). Poi, senza esitazione, Balakhnin cominciò a denunciare Trotsky, a ricordare le sue divergenze con Lenin, a chiamarlo a volte liquidatore, a volte menscevico [i socialisti che avevano tradito la rivoluzione del 1917]. [Poi] spinse le menzogne fino a dire che Trotsky si era opposto all'insurrezione armata di Ottobre, e che, attaccando ora i veri leninisti, era un ideologo della piccola borghesia. E per concludere, fece un brindisi in onore del Comitato centrale leninista. Udimmo due o tre persone applaudire, poi si fece un lungo silenzio. Il segretario del comitato locale del partito propose poi di passare alle domande."

E lì, le domande degli operai, anche loro membri del partito, cominciarono a piovere:

"Come ha potuto Lenin affidare la direzione dell'Armata Rossa al menscevico Trotsky? Perché Trotsky era tenuto in grande considerazione quando Ilitch [cognome di Lenin] godeva di una buona salute? Come poteva Trotsky essere contro l'insurrezione di Ottobre, lui che dirigeva la sua preparazione? E Stalin, chi è? Non lo conosciamo. Perché ci viene fornito pane raffermo e congelato? Per quanto tempo ancora gli operai saranno privati dei loro diritti? Perche' nella mensa della fabbrica si mangia peggio dei cani? Tutte queste domande erano accompagnate da vari rumori ed esclamazioni: "Sono diventati burocrati", "Sono tagliati fuori dagli operai", "Ci mettono a tacere", "Ci promettono il paradiso in terra per domani, ma oggi ci chiamano a soffrire, mentre per i capi è già il paradiso".

Grigorov sapeva che il direttore aveva seguito le istruzioni dell'apparato che stava facendo campagna per diffamare Trotsky. Quindi intervenne per ristabilire la verità su Trotsky e sul suo ruolo prima e durante la rivoluzione. Poi affronto' il tema della lotta contro la burocrazia nel partito e nello Stato:

"A causa della malattia di Lenin, nel comitato centrale è iniziata una lotta per il potere, mentre nel Politburo la maggioranza è unita contro Trotsky, la figura più popolare del partito e dell'esercito. Ma la popolazione non si preoccupa di questa lotta, per lei cio' che importa è risolvere i problemi essenziali: il miglioramento delle condizioni abitative, l'aumento dei salari, il problema dell'approvvigionamento alimentare. Gli operai devono concedersi il diritto di partecipare alle decisioni che incidono sulla loro vita".

Il discorso di Grigorov si concluse con un fragoroso applauso. Il direttore cercò di screditarlo gridando: "Grigorov è un insegnante menscevico, di chi vi fidate? "Ma un operaio gli rispose: "Tu, Balakhnin, avresti dovuto andare a scuola, prima di andare a sederti su una poltrona di direttore".

Furono messe ai voti due risoluzioni. Quella del direttore ottenne 19 voti, quella di Grigorov 150. Ma ecco il resto:

"Quando i risultati della votazione furono annunciati, si verifico' un incidente molto sorprendente. Balakhnin tiro' fuori una pistola dalla tasca, la punto' contro di me e urlo':

  • I menscevichi come lui, devono essere fucilati.

Un gruppo di operai piombo' su di lui, gli strappo' la pistola e usci' dalla sala. Dopo di che, intonarono tutti l'Internazionale, e scoppiarono delle grida: "Viva i capi della rivoluzione, Lenin e Trotsky! "Viva l'organizzatore dell'Armata Rossa!".

Ci impiegammo molto tempo per separarci. Il segretario del comitato locale del partito venne da me e mi disse:

  • Per questa riunione, perdero' il mio lavoro. E non ti ringrazio.

E io risposi:

  • Non hai nulla da temere, sei un operaio, andrai a lavorare in fabbrica, mentre per me le cose saranno più difficili. Ma non ho alcun rimpianto di aver detto la verità agli operai".

Come dimostra questa testimonianza, la cancrena burocratica aveva progredito prendendo di sorpresa i rivoluzionari. Avevano visto l'arricchimento di alcuni e il declino della vita democratica nel partito. Ma allo stesso tempo, tutti questi attivisti, compresi i burocrati, si erano trovati in prima linea nella guerra civile, combattendo uno accanto all'altro. E poi, bene o male, perché non fidarsi delle rassicuranti dichiarazioni dell'apparato che assicurava che le cose stavano migliorando? Ci voleva coraggio per apparire apertamente in opposizione e seguire Trotsky, sul quale l'intero apparato si accaniva. Il trotskismo è nato da questa lotta.

Alla fine del 1923, diverse migliaia di militanti raggiunsero Trotsky per formare con lui l'Opposizione di sinistra. Decine di migliaia di membri del partito erano legati a questo nucleo, in maniera più o meno clandestina. Tra di loro c'erano vecchi bolscevichi che avevano conosciuto le prigioni dello zar, le deportazioni e l'esilio. Ma ci furono soprattutto dei giovani che avevano raggiunto il partito durante la rivoluzione o durante la guerra civile. Tutti incarnavano la Rivoluzione di Ottobre e il bolscevismo.

Militavano nel partito comunista perché era il loro partito. Volevano rigenerarlo, ripristinare la democrazia al suo interno, restituirgli il suo senso di partito della classe operaia. Per dieci anni i membri dell'opposizione si astennero dal costruire un nuovo partito. Ma per quanto riguarda l'accoglienza favorevole e il radicamento nella classe operaia, la competenza dei militanti e della direzione, erano un vero e proprio partito, come il movimento trotskista non ne avrà più in seguito.

All'inizio del 1926, l'opposizione riuscì a riconquistare una parte dei loro ex compagni, quelli che avevano seguito Zinoviev e Kamenev, che fino ad allora avevano fatto fronte con Stalin contro Trotsky, prima di cambiare idea. Victor Serge, che militava allora a Leningrado, racconta questa svolta di diversi vecchi bolscevichi:

"I vecchi dirigenti del partito di Leningrado, che conoscevo quasi tutti dal 1919 (...) sembravano aver cambiato idea in una notte e non posso fare a meno di pensare che abbiano provato un profondo sollievo quando sono usciti dalla soffocante menzogna per raggiungerci. Parlavano con ammirazione di questo Trotsky, che avevano odiosamente denigrato il giorno prima, e commentavano i dettagli dei primi incontri tra lui, Zinoviev e Kamenev".

L'Opposizione unificata presentò una piattaforma politica per il 15° Congresso del Partito nel 1927. Era il programma rivoluzionario della classe operaia dell'Unione Sovietica. La piattaforma reclamava che l'aumento dei salari operai "vada di pari passo con l'aumento del rendimento dell'industria". Diceva che era necessario cercare l'alleanza con i contadini poveri e combattere i contadini ricchi, esonerando i primi dalle tasse e prendendo di più ai secondi e ai piccoli capitalisti, senza aumentare le tasse dei contadini medi. La piattaforma diceva che era necessario sviluppare l'industria statalizzata affinché "la riduzione dei prezzi tocchi soprattutto i generi di prima necessità, consumati dalle grandi masse di operai e contadini". Sottolineava il legame indissolubile tra il futuro dell'Unione Sovietica e la rivoluzione su scala internazionale. E metteva in primo piano la lotta contro i comportamenti burocratici, chiedendo il ritorno della democrazia all'interno del partito.

Anche dieci anni dopo Ottobre, questo programma rivoluzionario risuonava nei cuori di molti lavoratori e attivisti. Con la sua veridicità toccava anche i più giovani. Il riscontro positivo ottenuto dall'Opposizione rappresentava un pericolo mortale per la burocrazia. Quindi Stalin decise di metterla a tacere. E poco prima del congresso, l'Opposizione fu esclusa. I suoi attivisti furono mandati in deportazione o in prigione. L'apparato riusci' a condurne alcuni alla resa. Ma migliaia di loro tennero duro nonostante la repressione, come Rakovski, uno dei pochi dirigenti dell'Opposizione che poté partecipare al congresso, che rispose al comitato centrale che gli chiedeva di capitolare: "Sto invecchiando. Perché rovinare la mia biografia?". Fu deportato.

Trotsky fu deportato in Kazakistan. Poi, un anno dopo, per isolarlo dal resto dell'Opposizione e decapitarla, Stalin lo fece espellere dall'Unione Sovietica. Ma anche senza Trotsky, anche imprigionati e sotto la repressione, i membri dell'Opposizione non si piegavano. E le loro analisi e i loro opuscoli continuavano a circolare nelle fabbriche e nei quartieri operai. A metà degli anni Trenta, l'Opposizione vide anche venire a lei nuovi membri, giovani e operai. Stalin organizzo' quindi la loro liquidazione totale.

Perseguitati com'erano, i membri dell'Opposizione non avevano più nessun modo di lottare se non rifiutando di arrendersi al terrore. Accettare di sottomettersi era lasciare che l'apparato infangasse tutta la loro lotta, lasciarlo dire che erano bugiardi e traditori della classe operaia. La stragrande maggioranza dei seguaci dell'Opposizione che seguivano Trotsky dal 1923 preferi' morire piuttosto che cedere. Questo atto eroico era soprattutto politico. E non possiamo capire la loro determinazione se non capiamo che è stata la rivoluzione russa a sostenerli, la loro fedeltà a questa lotta e a questo momento unico nella storia della lotta di classe in cui avevano visto il rovesciamento totale del capitalismo. Sapevano di essere gli ultimi a incarnare il bolscevismo e che non dovevano cedere in modo che ci fosse una possibilità di trasmettere questo patrimonio alle nuove generazioni.

Fuori dall'URSS, la stalinizzazione dell'Internazionale Comunista

A livello internazionale, il movimento comunista si era sviluppato parallelamente a questa degenerazione dello stato sovietico. Militanti operai avevano rotto con i partiti socialisti o i sindacati anarchici per orientarsi verso la Terza Internazionale e imparare dal bolscevismo, per "fare come in Russia". Ma avevano appena fatto questo passo, che si trovarono di fronte alle lotte interne alla direzione del partito sovietico, lotte di cui non capivano la posta in gioco.

James Cannon, allora uno dei dirigenti del Partito Comunista degli Stati Uniti, poi divenuto trotskista, racconta il suo stesso malinteso all'inizio dell'Opposizione di sinistra:

"Ero molto insoddisfatto. Non sono mai stato entusiasta del conflitto nel partito russo. Non lo capivo. (...) il criterio usato per giudicare i dirigenti di Mosca era: chi aveva gridato più forte contro il trotskismo e contro Trotsky".

Anche quando la politica dell'Internazionale comunista che l'Opposizione stava combattendo aveva conseguenze catastrofiche, la stragrande maggioranza dei militanti comunisti nel mondo non ne capiva le ragioni. In Cina, nel 1927, quando scoppiò una rivoluzione proletaria, l'Internazionale costrinse i comunisti cinesi a sostenere dei dirigenti borghesi che si ritorsero contro la classe operaia e schiacciarono nel sangue la rivoluzione. Ma Cannon confessa con sincerità:

"I provinciali americani come noi non ne sapevano nulla. La Cina era lontana. [E] Non avevamo mai visto nessuna delle tesi dell'Opposizione russa".

Quando Cannon scoprì queste tesi, raggiunse Trotsky.

Il riflusso generale dell'ondata rivoluzionaria aveva rafforzato sia la burocrazia in URSS che le tendenze conservatrici nei partiti comunisti. La combinazione di queste due cose trasformò l'Internazionale comunista di Lenin in un'Internazionale stalinista che sarebbe diventata un'arma contro la rivoluzione. E la vittoria del partito nazista in Germania nel 1933 avrebbe rivelato quanto fosse fatale questa evoluzione.

In Germania, durante l'ascesa del nazismo nei primi anni '30, la classe operaia tedesca era organizzata in due grandi partiti operai, il Partito Socialista e il Partito Comunista. Il PC era stato decapitato fin dalla sua nascita nel 1919 con l'assassinio di molti dei suoi dirigenti, tra cui Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Se ne era ripreso ed era cresciuto durante gli episodi rivoluzionari che erano seguiti, ma era rapidamente sprofondato in un servilismo cieco nei confronti dell'apparato stalinista.

Le forze organizzate del movimento operaio tedesco erano considerevoli. Coordinati per combattere i nazisti, avrebbero potuto creare un potente fronte unito. Ma la lotta determinata contro il nazismo significava la lotta contro il capitalismo e quindi per la rivoluzione operaia. I dirigenti del Partito socialista non lo volevano. La loro politica si limito' a sperare che la borghesia tedesca non chiami al potere i nazisti. Anche la direzione stalinista del Partito Comunista aveva rinunciato alla lotta rivoluzionaria, cosa che nascondeva dietro un settarismo suicida con la formula cosiddetta del social-fascismo, che considerava che il Partito Socialista e il Partito Nazista fossero "gemelli" e impediva qualsiasi fronte unito dei lavoratori. Disorientata dalle direzioni del PC e del PS, la classe operaia tedesca fu abbandonata senza combattere a Hitler che, non appena ebbe il potere, distrusse le organizzazioni operaie, assassinando i suoi militanti o rinchiudendoli nei campi di concentramento.

La distruzione del movimento operaio tedesco fu un brutto colpo, ma nessuna direzione di qualsiasi partito comunista al mondo critico' la politica stalinista, rivelando il completo fallimento della Terza Internazionale.

La vittoria di Hitler significava che l'imperialismo tedesco si sarebbe preparato ad una nuova guerra mondiale. E questa Germania nazista era una minaccia evidente per l'URSS. Ma la burocrazia sovietica era diventata incapace di vedere le esplosioni rivoluzionarie del proletariato come qualcosa di diverso da un pericolo per se stessa. Cosi' cerco' alleati dalla parte dei paesi imperialisti. E mise l'Internazionale comunista al servizio della sua diplomazia. Ciò che lo stalinismo aveva da offrire ai suoi alleati imperialisti era la sua capacità di ingannare la classe operaia.

Su ordine di Mosca, i dirigenti dei PC stalinizzati tesero la mano a tutto ciò che era alla loro destra, ai partiti socialisti e ai partiti borghesi, come fecero in Spagna e Francia, creando Fronti popolari con l'obiettivo di convogliare la protesta operaia sul terreno dell'elettoralismo. Allo stesso tempo, e questo era collegato, non avrebbero tollerato alcuna espressione indipendente alla loro sinistra che avesse potuto denunciare il loro tradimento e i loro misfatti.

Quando nel luglio 1936 scoppiò la rivoluzione proletaria spagnola, l'Internazionale comunista intervenne per la prima volta consapevolmente in senso controrivoluzionario. Una rivoluzione spagnola vittoriosa avrebbe immediatamente trovato il sostegno della classe operaia francese, che aveva appena vissuto lo sciopero generale con occupazioni di fabbriche del giugno 1936. Sarebbe stata una notevole inversione politica in questa Europa in cui il fascismo si stava diffondendo. Ma la burocrazia temeva la rivoluzione proletaria anche più della guerra mondiale. Un nuovo stato operaio avrebbe infatti rivelato l'usurpazione stalinista a tutti i lavoratori. Stalin fece quindi tutto il possibile per strangolare la rivoluzione.

Gli stalinisti e i socialisti, alleati nel Fronte Popolare spagnolo, costrinsero gli sfruttati a rinunciare alle loro rivendicazioni rivoluzionarie con il pretesto che, nella lotta contro l'estrema destra franchista, non bisognava spaventare un'immagginaria borghesia repubblicana. Con la complicità dei dirigenti anarchici del potente sindacato CNT, soffocarono lo slancio delle masse. La borghesia aveva scelto il franchismo e gli stalinisti assassinarono i rivoluzionari spagnoli.

Stalin aveva inviato armi in Spagna, non ai lavoratori, ma a questa componente dello Stato che si dichiarava repubblicana. Aveva anche riunito delle truppe per lei. All'appello dell'Internazionale comunista, militanti provenienti da tutta Europa formarono le Brigate Internazionali. Erano venuti a combattere il franchismo, credendo di dare la vita affiché il movimento comunista prendesse la rivincita su Hitler, Mussolini e tutti i dittatori d'Europa. Ma questi stessi militanti fornirono allo stalinismo le truppe per reprimere la rivoluzione spagnola.

Ed è perché era riuscito a spacciarsi per il successore di Lenin che Stalin poteva agire in tal modo, e imporre ai militanti comunisti di tutti i paesi cio' che nessun partito borghese o riformista avrebbe mai potuto imporre loro. Lo stalinismo reintrodusse nel movimento comunista stesso idee borghesi come il nazionalismo e l'elettoralismo, che non avevano nulla a che fare non solo con il bolscevismo, ma anche con ciò che il movimento operaio era riuscito a costruire prima. Questa regressione politica, questa corruzione del movimento operaio, la borghesia non avrebbe potuto ottenerla senza lo stalinismo. La confisca della bandiera della Rivoluzione russa da parte dello stalinismo fece di lui un veleno infinitamente più fatale per il movimento operaio rivoluzionario di qualsiasi altro veleno riformista del passato.

La situazione mondiale al momento della fondazione della Quarta Internazionale

Così, quando la Quarta Internazionale fu fondata nel settembre 1938, era composta solo da piccole organizzazioni.

Nella storia del movimento operaio, da Marx, c'era sempre stata una corrente rivoluzionaria nella classe operaia. Di generazione in generazione, in periodi di tempesta o di calma della lotta di classe, la trasmissione era sempre stata fatta, da militanti a militanti, che imparavano gli uni dagli altri. Anche quando ci furono interruzioni in questa continuità, questa trasmissione poté comunque avvenire. I partiti socialisti erano stati fondati da militanti formati con Marx ed Engels. Dopo la rivoluzione russa, i partiti comunisti erano stati creati a partire dalle correnti rivoluzionarie dei partiti socialisti o dei sindacati operai con tendenze anarchiche.

Per la prima volta nella storia, lo stalinismo aveva rotto questa continuità umana militante, sterminando i trotskisti sovietici e corrompendo i partiti comunisti fino a farli diventare partiti al servizio degli interessi della borghesia. Le idee rivoluzionarie erano diventate uno spettro.

Anche in questo stato, le idee rivoluzionarie hanno continuato a tormentare la borghesia. Pochi giorni prima della dichiarazione di guerra tra Francia e Germania nell'agosto 1939, Hitler incontrò l'ambasciatore francese a Berlino e gli disse: "Io vincerò, lo credo, e voi credete che vincerete, ma quello che è certo è che il sangue tedesco e quello francese scorreranno". L'ambasciatore francese gli disse: "Se credessi davvero che noi vinceremo, avrei anche paura che il risultato della guerra sia che ci sia un solo vincitore, il signor Trotsky". E Hitler rispose: "Lo so". Per la borghesia infatti la paura della rivoluzione proletaria si incarnava in Trotsky.

Trotsky fu assassinato il 21 agosto 1940 da un agente di Stalin meno di due anni dopo la fondazione della Quarta Internazionale. Politicamente, quest'ultima non sopravvisse alla sua morte perché Trotsky ne era il suo unico vero dirigente. I militanti che l'avevano raggiunta in Europa o negli Stati Uniti, nonostante tutto il loro coraggio, non avevano l'esperienza e la tempra dei militanti dell'Opposizione di sinistra sovietica. Non erano mai stati in contatto con il bolscevismo. Dove avrebbero potuto incontrarlo? Non nei partiti stalinizzati, e ancor meno nei partiti socialisti riformisti.

Inoltre, lo stalinismo aveva costruito un bastione tra queste deboli organizzazioni trotskiste e la classe operaia, un bastione che lo stalinismo voleva fosse impenetrabile. In URSS, Stalin aveva fatto giustiziare quasi tutti i trotskisti. All'estero, anche se fece uccidere Trotsky e altri dirigenti trotskisti come Leon Sedov, figlio di Trotsky, non poteva liquidare i rivoluzionari tanto facilmente. Invece, all'interno del proletariato dove era egemonico, poteva far regnare la sua legge. Gli stalinisti sistematizzarono la violenza morale e fisica contro i trotskisti per impedire alle loro idee di penetrare nella classe operaia. I militanti trotskisti erano denunciati come agenti dell'imperialismo, chiamati "hitlero-trotskisti". I pochi militanti operai rivoluzionari scoperti erano segnalati al padrone per essere licenziati. E i militanti rivoluzionari che si presentavano apertamente alle porte delle aziende erano picchiati e minacciati di morte.

Introducendo metodi da gangster nel movimento operaio, lo stalinismo ha anche rovinato i propri militanti. Ha insegnato loro a calpestare la democrazia operaia, a mettere a tacere le opposizioni, a diffidare della base perché potrebbe essere troppo indipendente. Ha coltivato tra i suoi dirigenti l'arroganza e il disprezzo di coloro che pensano al posto dei lavoratori e decidono ciò che è bene per loro.

Lo stalinismo ha liquidato i militanti capaci di trasmettere le tradizioni del bolscevismo. Ha creato un divario tra la classe operaia e le idee rivoluzionarie. Ma non ha potuto distruggere ciò che Trotsky aveva scritto: i suoi testi, le sue analisi, i suoi programmi sono ciò che ci resta, ed è inestimabile.

Il movimento trotskista dopo la morte di Trotsky

Il movimento trotskista uscì dalla seconda guerra mondiale frantumato. Militanti erano stati uccisi, alcuni nei campi nazisti, altri assassinati dagli stalinisti. C'erano militanti trotskisti in molti paesi, in Europa, nelle Americhe, in Asia, in Sudafrica. Ma si trattava, in generale, di gruppi molto piccoli, senza radicamento nella classe operaia. Formalmente, la Quarta Internazionale continuava ad esistere e riuscì a tenere un secondo congresso mondiale dieci anni dopo la sua fondazione. Ma, ovviamente, senza Trotsky.

Ma Trotsky da solo incarnava la politica e il programma della Quarta Internazionale. Aveva guidato un partito operaio di massa e due rivoluzioni, formato e condotto alla vittoria un'Armata rossa di diversi milioni di uomini. A livello internazionale, i trotskisti che lo avevano raggiunto erano per la stragrande maggioranza giovani intellettuali tagliati fuori dalle masse operaie e che capivano solo parzialmente i consigli che aveva dato loro. In una discussione con militanti americani nel 1939, Trotsky caratterizzò i trotskisti francesi come segue:

"Ci sono compagni come Naville (2) e altri in Francia, che sono venuti da noi quindici, sedici anni fa, quando erano ancora molto giovani (....) e, durante tutta la loro vita consapevole, hanno ricevuto solo colpi, hanno solo subito sconfitte, terribili sconfitte, e ci sono abituati. Apprezzano molto l'esattezza delle loro idee, sono capaci di buone analisi, ma non sono mai stati in grado di penetrare le masse, di lavorare per questo, non sono mai stati in grado di imparare a farlo".

Naville, che era stato in stretto contatto con Trotsky, cessò di militare dopo la guerra. Ma coloro che guidavano le organizzazioni trotskiste in Francia e in Europa avevano gli stessi difetti menzionati da Trotsky. Negli Stati Uniti, Cannon e gli attivisti operai che lo circondavano erano riusciti a avere un certo radicamento nella classe operaia. E non è un caso che sia stata la loro organizzazione a seguire più da vicino i consigli di Trotsky. Ma gli unici che parlavano veramente la stessa lingua di Trotsky, che avevano esperienza di lavoro militante rivoluzionario tra le masse, erano stati i suoi compagni sovietici, che erano tutti o quasi tutti morti.

I militanti all'origine della nostra corrente si staccarono durante la seconda guerra mondiale dal resto del movimento trotskista in Francia perché la maggior parte di esso, dopo la sconfitta militare del 1940, aveva proposto una politica di "fronte comune con tutti gli elementi del pensiero francese" che era di fatto un abbandono dell'internazionalismo. Ma la scelta di rompere, per questi militanti, è stata motivata principalmente dalla necessità di legare il loro destino alla classe operaia in modo organico, umano, concreto; ritornando all'idea fondamentale che era necessario iniziare a costruire un'organizzazione in direzione dei lavoratori e delle aziende. Nel suo rapporto sull'organizzazione del 1943, Barta, il militante di origine rumena che dirigeva questo piccolo gruppo, l'Unione Comunista, spiegò le ragioni di questa rottura e della creazione di un'organizzazione indipendente:

"Le idee dell'Opposizione russa, che furono alla base della nascita della corrente della Quarta Internazionale, non hanno potuto penetrare in un ambiente operaio in Francia. (...) Il fatto che queste idee siano state adottate principalmente da intellettuali privi di autentiche tradizioni comuniste, che per anni (...) non hanno avuto la possibilità di militare sul terreno delle lotte operaie, ha dato all'Opposizione comunista in Francia un carattere piccolo borghese che ha reso incerto qualsiasi ulteriore sviluppo del movimento (...) in Francia, in un momento in cui la situazione oggettiva (le lotte proletarie dal 1934 al 1939) forniva una solida base per la diffusione delle idee della Quarta Internazionale.

Dall'inizio della guerra, ci siamo impegnati nella creazione di un'organizzazione di tipo rivoluzionario bolscevico. Il bolscevismo implica, con una politica giusta (...), un contatto reale ed esteso con la classe operaia, la partecipazione quotidiana alle sue lotte; si ispira agli interessi quotidiani e permanenti della classe operaia".

Attraverso la sua attività militante, l'Unione comunista riusci' a conquistare dei lavoratori al trotskismo e a formare tra loro dei dirigenti. Come Pierre Bois, che sarà il dirigente dello sciopero della fabbrica Renault di Billancourt dell'aprile-maggio 1947, dove migliaia di lavoratori si opposero alla direzione, al governo e all'apparato egemonico della CGT stalinista, organizzandosi democraticamente in un vero e proprio comitato di sciopero. Temendo di essere screditati presso i lavoratori, i ministri del PCF dovettero dichiarare il loro sostegno allo sciopero e furono esclusi dal governo. Il successo militante di questo sciopero, tuttavia, non ebbe alcun impatto sulla maniera di militare del resto del movimento trotskista. E l'Unione comunista rimase sola nelle sue scelte militanti.

Dopo la morte di Trotsky, tutti coloro che si ponevano l'obiettivo di costruire organizzazioni sulla base del trotskismo si trovavano di fronte al problema di orientarsi politicamente, in un mondo in cui lo stalinismo, sostenendo di essere il solo e unico rappresentante del comunismo e della rivoluzione, deturpava queste stesse idee. Le idee di un autentico comunismo rivoluzionario, bisognava andare a cercarle nei libri. E in quell'epoca non era facile trovare le opere di Trotsky.

Una delle analisi più fondamentali di Trotsky e dell'Opposizione di sinistra era quella dell'URSS. Nel marzo 1934, quando lo stalinismo aveva portato il proletariato tedesco al massacro consegnandolo a Hitler, e mentre Stalin imprigionava i trotskisti in URSS, Trotsky affermava:

"Il frutto della grande rivoluzione di Ottobre in Russia fu lo Stato sovietico. Ha mostrato quali forze e possibilità ci sono nel proletariato. Lo Stato sovietico rimane, ancora oggi, la carne della nostra carne e il sangue del nostro sangue. In questi tempi difficili, chiediamo ad ogni operaio onesto di difendere lo Stato sovietico".

Trotsky aveva già combattuto militanti che non volevano più assumere questa visione dell'URSS. Dopo la guerra e la morte di Trotsky, altri militanti, pur sostenendo di essere trotskisti, rimisero in causa il ragionamento di Trotsky sull'Unione Sovietica.

Naturalmente, tutti potevano vedere che dietro la propaganda ufficiale, l'Unione Sovietica era sempre più lontana dall'ideale socialista di uguaglianza e fraternità. L'arricchimento della burocrazia stava diventando sempre più disgustoso. E la dittatura era feroce.

Ma la società sovietica era il risultato di una rivoluzione, di un terremoto sociale di eccezionale portata nella storia dell'umanità. L'intervento diretto delle masse aveva profondamente sconvolto i vecchi rapporti sociali. Gli oppressi si erano liberati dall'oppressione in tutte le sue forme e in modo radicale. Niente poteva essere come prima, soprattutto nelle loro teste. Avevano plasmato nuovi rapporti sociali, il che li aveva a loro volta trasformati in modo profondo e durevole. Solo una rivoluzione proletaria, mobilizzando decine di milioni di persone per anni poteva raggiungere questo obiettivo. Nessun colpo di stato, nessuna rivoluzione di palazzo, e nessuna rivoluzione contadina guidata dalla piccola borghesia, potrebbero avere un tale effetto.

Quindi dire che l'URSS era una dittatura come ogni altra voleva dire spazzare via la sua origine rivoluzionaria proletaria. Inoltre, questa rinuncia aveva luogo spesso sotto la pressione della propaganda anticomunista, molto forte durante la guerra fredda e in gran parte trasmessa dai partiti socialisti.

Dalla fine del 1947, nei paesi dell'Europa centrale, come la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Polonia, ecc., occupati dall'esercito sovietico, la burocrazia stalinista istituì dei governi in suo pugno, per impedire che questi paesi sfuggissero al suo controllo. Queste Democrazie popolari, come sono state successivamente chiamate, dichiaravano di essere socialiste. E formalmente, in questo periodo di tensione tra l'URSS e l'imperialismo, questi regimi erano alleati dell'Unione Sovietica. Ma di che natura erano questi nuovi stati?

La maggioranza della corrente trotskista decretò che le Democrazie popolari erano, come l'URSS, degli stati operai degenerati. Ma equiparare questi Stati e l'URSS significava dire che la burocrazia stalinista poteva svolgere un ruolo equivalente all'azione consapevole di milioni di lavoratori, e che l'acquisizione di un apparato statale da parte dell'esercito e della polizia politica di Stalin poteva avere gli stessi effetti di una delle più profonde rivoluzioni sociali della storia. Ciò significava chiaramente che non c'era bisogno dell'intervento della classe operaia per rovesciare il capitalismo.

Da parte nostra, ci siamo sempre attenuti all'idea fondamentale che nulla può sostituire l'intervento consapevole delle masse operaie. E abbiamo considerato che questi Stati, pur essendo sotto il controllo del Cremlino, non avevano cambiato natura e rimanevano Stati borghesi; e che solo l'Unione Sovietica era uno Stato operaio degenerato, risultato dalla rivoluzione dell'Ottobre 1917.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, ci fu l'esplosione rivoluzionaria delle masse oppresse degli imperi coloniali. Pur essendo estremamente cauti nei confronti dei processi rivoluzionari in atto - perché le rivoluzioni sono sempre imprevedibili - il punto di vista che ha guidato i militanti della nostra corrente ad orientarsi in questi eventi, queste rivoluzioni, era quello di cercare di capire quale ruolo avesse la classe operaia come forza politica, e se ci fosse un partito operaio a rappresentare i suoi interessi politici.

La rivoluzione cinese, che portò alla presa del potere da parte del Partito Comunista di Mao nel 1949, scosse tutta l'Asia. I contadini poveri si sollevarono nelle campagne contro i loro oppressori, proprietari terrieri e signori della guerra del passato. E il partito di Mao prese il comando di questa rivolta. Ma dov'era il proletariato? Dov'era la sua azione politica? Nonostante la sua debolezza numerica, avrebbe potuto svolgere un ruolo di primo piano, come la rivoluzione operaia del 1927 in questo stesso paese aveva dimostrato circa 20 anni prima.

Ma il partito comunista cinese non era più un partito operaio. La sua storia, dopo la sanguinosa repressione del 1927, l'aveva portato lontano dalle città, nelle campagne. E si era trasformato in un apparato di guerriglia. Si era ritrovato tagliato fuori dalla classe operaia, ma anche dai circoli piccolo borghesi e borghesi legati alla dittatura e quindi incapace della minima opposizione radicale. L'evoluzione originale del PC cinese ne aveva fatto, nonostante il nome che conservava, un partito nazionalista piccolo borghese radicale, i cui dirigenti avevano imparato, presso lo stalinismo, a brandire gli ideali comunisti per ingannare le masse indignate.

In Cina c'erano militanti trotskisti, alcuni dei quali erano stati conquistati dall'Opposizione già nel 1927. Mao li liquidò fisicamente. Per quanto deboli, rappresentavano per lui il pericolo di una politica proletaria indipendente.

Mao fece scuola. Dal Vietnam a Cuba passando dalla Corea del Nord e da tutta una serie di guerriglie, i dirigenti nazionalisti si ispirarono ai suoi metodi di lotta contro l'imperialismo. Ogni volta, ci furono militanti nel movimento trotskista, che li vedevano come "processi rivoluzionari" che "automaticamente" davano vita a nuovi "Stati operai". Alcuni di loro, a disagio, si sono sentiti obbligati ad aggiungere l'aggettivo "degenerato" o "deformato". Ma gli epiteti non cambiano il fatto che questi Stati non avevano nulla in comune con quanto era stato realizzato in Russia nel 1917.

Da allora, il Vietnam e la Cina si sono aperti in modo spettacolare al mercato capitalista. Il regime cubano si sta muovendo nella stessa direzione. E le cosiddette Democrazie Popolari hanno raggiunto l'ovile capitalista. Ma ciò che ci sta a cuore non è tanto che la storia abbia dato ragione alle analisi della nostra corrente, ma le convinzioni su cui si basavano e che il resto del movimento trotskista ha negate. Suggerire che la burocrazia stalinista o gruppi nazionalisti piccolo borghesi, per quanto radicali, possano svolgere lo stesso ruolo della classe operaia, voleva dire voltare le spalle al trotskismo. Voleva dire rinunciare a difendere il programma rivoluzionario del proletariato sostenendo che altri potevano realizzarlo al suo posto.

Ciò che caratterizza la nostra corrente è la fedeltà alla classe operaia e al trotskismo. In un'epoca in cui il PCF era onnipotente nella classe operaia francese e formava attorno ad essa un cordone sanitario per evitare che le idee trotskiste attecchissero, i militanti all'origine della nostra corrente non si sono arresi. Non hanno cercato di rivolgersi ad altri strati sociali che sarebbero serviti a sostituire la classe operaia. E nonostante le difficoltà, hanno creato un'organizzazione operaia trotskista. Oggi, le difficoltà sono di diversa natura. Non è più lo stalinismo, ma il calo della combattività e la profonda depoliticizzazione della classe operaia che dobbiamo affrontare. Ma è sempre con le stesse prospettive - trovare il modo di inserire le idee trotskiste nella classe operaia - con la stessa totale fiducia nel proletariato. Per noi comunisti rivoluzionari non ci sono alternative.

Intervento di Max Céleste - Combat ouvrier (Antille francesi)

Il nostro gruppo è attivo dal 1971 in Martinica e Guadalupe. Queste due isole sono state colonie francesi per molto tempo. Poi, nel 1946, hanno avuto lo status di dipartimenti francesi sulla carta. Infatti per un altro mezzo secolo hanno dovuto sopportare l'oppressione coloniale diretta prima che la relativa uguaglianza sociale e il riconoscimento delle libertà democratiche fossero raggiunti.

Tuttavia, 72 anni di evoluzione in quanto dipartimenti non cancellano ancora tre secoli di schiavitù e colonialismo. Siamo un gruppo trotskista, membro dell'UCI (Unione Comunista Internazionalista), con diverse altre organizzazioni tra cui Lutte Ouvrière. Siamo certo ancora oggi un piccolo gruppo, in queste due piccole isole delle Antille, ma ci siamo trovati di fronte ad una situazione che ricorda tutta una serie di situazioni che sono esistite in altri paesi poveri, colonizzati e semicolonizzati, dove sono sorti problemi di emancipazione dall'oppressione coloniale, imperialista e razziale. Il livello nazionale non esclude somiglianze, analogie e confronti.

Dopo la nostra fondazione nel 1965 a Parigi, abbiamo subito militato in direzione dei lavoratori caraibici dell'emigrazione. Allo stesso tempo, ci siamo trovati di fronte alle idee nazionaliste in voga a quell'epoca, sostenute da organizzazioni nazionaliste che irraggiavano allora gli ambienti della gioventù studentesca e persino quelli dei giovani lavoratori politicizzati. Era un misto di maoismo, castrismo, guevarismo, negritudine, idee del FLN algerino vittorioso nella sua guerra contro il colonialismo francese, idee di nazionalisti vietnamiti nel bel mezzo della guerra in quel momento contro gli Stati Uniti? dopo la guerra vittoriosa contro il colonialismo francese. E tutto questo, con un pizzico di marxismo.

Nelle Antille, nel bel mezzo di un periodo coloniale, in un periodo in cui la polizia sparava ai lavoratori in lotta, quando la povertà era paragonabile a quella che esiste ancora ad esempio in Africa, i partiti comunisti stalinisti avevano da tempo preso una strada nazionalista. All'inizio degli anni '60 emersero organizzazioni nazionaliste più attive, che sostenevano l'autonomia o l'indipendenza nazionale dalla Francia. Nel 1963 ci furono, tra gli altri, il GONG (Gruppo di organizzazioni nazionali della Guadalupa) e l'OJAM (Organizzazione giovanile anticolonialista della Martinica). Erano trasmessi dalle organizzazioni studentesche.

Tutte queste organizzazioni e partiti promuovevano quella che chiamavano "liberazione nazionale", relegando il posto della classe operaia e dei poveri a quella che chiamavano "seconda tappa". Dopo la liberazione nazionale, questa seconda fase, che doveva essere socialista, era in realtà solo un futuro ipotetico. Infatti, ciò che i nazionalisti vogliono è l'avvento di uno stato della Martinica o della Guadalupa con la piccola borghesia e la borghesia dominante. Per quanto riguarda la classe operaia, come per le classi povere, il loro ruolo è quello di accettare di costruire lo stato della Martinica o della Guadalupe facendo tutti i sacrifici necessari in nome della "patria Guadalupa" e "Martinica". In definitiva, è un ruolo d fanteria nell'interesse della borghesia e della piccola borghesia locali. Questo è ciò che i nazionalisti, proprio come in Cina o in Vietnam, chiamavano la "rivoluzione nazionale democratica e popolare" (RNDP). Era l'"alleanza delle quattro classi" che Mao aveva sostenuto in Cina, cioè l'alleanza dei contadini, con la classe operaia, la piccola borghesia e la borghesia nazionale. Questo programma suscitava molte illusioni tra i lavoratori e i giovani politicizzati, mentre in realtà veniva promosso per formare una nazione borghese indipendente dall'imperialismo francese. Non per far prevalere gli interessi dei lavoratori e dei poveri.

Nelle Antille alcuni gruppi indipendentisti, data la frequenza e la forza delle lotte operaie, hanno scelto, a partire dagli anni '70, di integrarsi nella classe operaia e creare sindacati. Cercano di utilizzare le lotte operaie e di suscitare un'agitazione sociale e politica tale da metterli in grado di negoziare con Parigi una forma di indipendenza. Finora non ci sono riusciti perché i lavoratori non li seguono su questo terreno, anche se, ad esempio, uno di questi sindacati nazionalisti rimane il sindacato maggioritario della Guadalupe, l'UGTG (Union générale des travailleurs de Guadeloupe).

Il nostro gruppo, fin dall'inizio, ha dovuto denunciare il colonialismo, i suoi crimini e massacri e lottare per l'emancipazione dei popoli della Martinica e della Guadalupe dall'oppressione coloniale, ma abbiamo dovuto porre gli interessi dei lavoratori e dei poveri al primo posto in questa lotta. Nel nostro manifesto del 1965, dicevamo:

"Da tre secoli, il nostro paese è sotto il dominio diretto e sanguinoso dell'imperialismo francese. Da tre secoli, siamo colonizzati, asserviti, il nostro sviluppo economico è stato paralizzato dalla pressione dell'industria francese, la nostra cultura nazionale è distrutta e la cittadinanza francese che ci viene offerta dal 1946 è utilizzata in realtà solo per succhiarci il sangue. Questa cittadinanza non è altro che un inganno e non fa che mascherare il crescente impoverimento della nostra popolazione a favore dell'imperialismo francese. (...)

In questa lotta (...) non solo dovremo opporci agli scagnozzi e ai mercenari dell'imperialismo, non solo dovremo superare le nostre esitazioni, ma dovremo anche combattere coloro che, in mezzo a noi, si considerano già gli approfittatori, i dirigenti indigeni dei Caraibi indipendenti.

La nostra lotta per l'indipendenza è la lotta delle classi povere della popolazione per una vita migliore. Non è la lotta affinché i borghesi caraibici possano trarre profitto dal loro commercio, senza timore della concorrenza imperialista, in modo che alcuni medici, avvocati o altre "élite" si trovino, in seguito, dotati di posizioni e sinecure predicandoci lavoro, pazienza e speranza".

Circa quindici anni dopo, c'è stata una rinascita dell'attivismo nazionalista nelle Antille. Gruppi indipendentisti si erano posti l'obiettivo di costringere il governo francese a negoziare l'indipendenza delle Antille attraverso attentati dinamitardi. Ci fu in tutto circa un decennio di tale attivismo nazionalista, dalla fine del 1979 al luglio 1989. Il nostro gruppo in questo periodo ha quindi dovuto affrontare questa situazione nuova e inedita per noi.

Abbiamo dovuto trovare l'attività e le parole d'ordine giuste in questa nuova situazione con cui ci trovavamo direttamente confrontati, e trovare una politica in linea con gli interessi dei lavoratori nella lotta contro l'imperialismo francese, in un momento in cui l'attivismo dei gruppi nazionalisti, se non godeva del sostegno formale della popolazione, suscitava comunque una certa simpatia al suo interno.

Avevamo già valutato il fatto che la popolazione esprimeva (come lo fa ancora oggi) più un sentimento di oppressione razziale che un sentimento nazionalista di indipendenza politica. Questo sentimento, che deriva dalla società schiavista e dall'economia di piantagione, si spiega con il fatto che tutto è diretto e controllato da una minoranza di Bianchi su isole dove c'è una maggioranza di Neri. Rispetto ai nazionalisti che rivendicavano uno stato indipendente, abbiamo quindi proposto il seguente slogan: "Per uno Stato dei Neri poveri indipendente dai Bianchi e dai ricchi".

D'altra parte, di fronte agli attentati individuali dei nazionalisti, abbiamo sostenuto nella nostra stampa gruppi radicali clandestini passati all'azione, ma in modo diverso, cercando di coinvolgere i giovani dei quartieri e i lavoratori. Fu il caso, ad esempio, del nostro sostegno alle azioni del "comitato contro il genocidio per sostituzione", che compi' azioni dure e violente contro i simboli dell'oppressione razziale, nei quartieri abitati dai Bianchi e contro le loro proprietà in questi quartieri e nelle città.

Quindi, sì, uno dei compiti dei rivoluzionari comunisti, dei trotskisti, è prima di tutto capire e poi prendere in considerazione i sentimenti delle masse oppresse. E' il programma dei primi quattro congressi dell'Internazionale comunista e del programma trotskista che ci hanno permesso di cercare e comprendere in quanto marxisti i sentimenti delle masse in generale, quelli delle masse dei paesi dominati e quelli delle masse nere e di colore dei nostri paesi.

In particolare, le tesi sulla questione nazionale e coloniale e la tesi sulla questione nera dei primi quattro congressi dell'Internazionale comunista guidata all'epoca da Lenin e Trotsky ci hanno fornito la direzione giusta. Più tardi, in esilio, durante una discussione sui Neri americani con attivisti americani, Leon Trotsky ha detto:

"La questione della religione non ha assolutamente nulla a che fare con la questione della nazione. Il battesimo di un Nero è qualcosa di totalmente diverso dal battesimo di un Rockefeller. Sono due religioni diverse. »

Allo stesso modo, i sentimenti di oppressione di un lavoratore caraibico nero o di colore nei confronti del suo padrone bianco sono diversi dai sentimenti di oppressione che un medico, un avvocato, un capo amministrativo nero o indiano può provare nei confronti dell'amministrazione bianca e delle sequele coloniali e razziali. Sono due oppressioni diverse. Ma questa volta, tra gli stessi Neri.

D'altronde, oggi possiamo già verificarlo nella pratica. Una frazione di notabili nazionalisti è riuscita ad ottenere un sostituto di potere locale in Martinica. E ben presto sarà cosi' anche in Guadalupe, con un'unica assemblea che sostituirà il Consiglio generale e il Consiglio regionale. Siamo ben lontani dall'indipendenza e anche dall'autonomia. Ma questa piccola briciola di potere locale è già sufficiente per il momento per i dirigenti locali. Essi controllano in parte il prodotto di imposte e tasse pagate dalla popolazione, così come i crediti stanziati dal governo francese e dall'Europa, senza controllo popolare e servendosene come mezzo per esercitare pressioni sulla popolazione. In tutte le isole circostanti, è lo stesso tipo di notabili che sono a capo degli stati indipendenti dei Caraibi.

La nostra esistenza e la nostra personalità politiche sono state formate nella lotta contro il programma e gli attacchi nazionalisti, e nella nostra attività militante nella classe operaia. Il nostro gruppo ha esperienza delle lotte operaie, quelle condotte dai nostri compagni nelle aziende e nei sindacati.

Tutto questo ci offre l'opportunità, in periodi di febbre sociale o di attivismo nazionalista crescente, di esprimere la posizione comunista, trotskista, pur rimanendo minoritari. Ed è la formazione trotskista che ci ha permesso di trovare le risposte più appropriate in queste situazioni, di fornire risposte di classe, risposte comuniste nella lotta contro il colonialismo, contro l'imperialismo tra i lavoratori, tra la popolazione e i giovani proletari e studenti.

Naturalmente, l'esperienza delle lotte non è l'esperienza rivoluzionaria. Questa non ce l'abbiamo. Ma abbiamo il programma rivoluzionario. E' quello di Lenin e Trotsky.

Aggiungerei che nella nostra area geografica, la storia originale dei Neri e degli Indiani dei Caraibi è la stessa. Il capitalismo sfrutta milioni di Neri poveri in tutto l'arco caraibico, da Margarita (un'isola al largo del Venezuela) alle Bahamas. Passiamo per Haiti, dove c'è un'organizzazione sorella, l'OTR (Organisation des Travailleurs Révolutionnaires) che milita sullo stesso nostro programma, all'interno di una classe operaia molto più ampia e differenziata.

Lo sfruttamento imperialista e la povertà hanno trasformato queste isole in polveriere sociali. Qui sta una notevole forza rivoluzionaria potenziale dei lavoratori e dei poveri che un giorno esploderà. Il virus rivoluzionario è contagioso. Il problema non è se cio' accadrà, ma quando accadrà.

Ma i lavoratori devono creare partiti comunisti rivoluzionari, condizione indispensabile per il successo delle future rivoluzioni operaie.

In conclusione, compagni, vorrei dire che oggi, nelle Antille, come qui in Europa, come negli Stati Uniti e altrove, tutto sembra andare nella direzione opposta a ciò che vogliamo.

Ma è proprio per questo motivo che la nostra esistenza, anche nei piccoli paesi e qualunque sia la nostra forza numerica, è importante. E' uno degli elementi dei futuri partiti rivoluzionari e della rivoluzione operaia, qualunque sia il percorso che questa costruzione e questo nuovo periodo storico prenderanno.

Intervento di Judith Carter - The Spark (USA)

Gli Stati Uniti, se visti dall'esterno, sembrano essere un ostacolo enorme e minaccioso sulla strada della rivoluzione sociale, non è vero? E dall'interno? Beh, anche noi abbiamo questa impressione.

Dall'esterno, vediamo soprattutto la dominazione economica dell'imperialismo americano e la potenza militare del suo Stato. Dall'interno, è ovvio il bassissimo livello di coscienza della classe operaia. A volte ci chiediamo se si considera anche solo una classe sociale.

In ogni caso, i lavoratori americani non sono ancora politicamente organizzati come classe. Non l'hanno fatto, non hanno mai avuto il loro proprio partito. E, a causa di un passato segnato dalla schiavitù, la classe operaia ha ereditato profonde divisioni. I lavoratori bianchi, compresi quelli che sono arrivati di recente, trovano normale godere di vantaggi. Piccoli e meschini vantaggi, ma sempre vantaggi. Così, tra i lavoratori neri, c'è ancora diffidenza e amarezza verso tutti quelli che considerano "bianchi", cioè l'intero resto della popolazione.

Questi problemi sono stati sollevati da Trotsky nelle sue discussioni con i trotskisti americani al momento dell'adozione del Programma di transizione da parte della Quarta Internazionale. Trotsky difendeva l'idea di un partito dei lavoratori, e più tardi l'idea di un partito nero indipendente. E pensava che i rivoluzionari dovevano lottare per fare in modo che le rivendicazioni transitorie siano incluse nei programmi di queste organizzazioni.

Dalla metà degli anni '60 in poi, le insurrezioni della popolazione nera hanno scosso le città americane. Come molti altri giovani dell'epoca, ho iniziato a cercare risposte alle domande scottanti sollevate dagli eventi.

Un giorno mi sono imbattuta per caso in un articolo intitolato: "La rivolta nera negli Stati Uniti: una speranza per tutta l'umanità". L'articolo cominciava cosi':

"Da tre anni, gli Stati Uniti d'America, prima potenza mondiale e baluardo dell'imperialismo, vedono la guerra sociale devastare il loro territorio nella forma più radicale, quella che sembrava da tempo scomparsa dall'Europa e mai più apparsa in un "paese con un alto tenore di vita", l'insurrezione urbana, che solleva le piazze e incendia le città".

E l'articolo si concludeva con queste parole:

"La cittadella americana dell'imperialismo mondiale sembrava da quarant'anni l'unica impossibile da prendere dall'interno, almeno quella la cui caduta sembrava più improbabile, rispetto a tutte le borghesie indebolite e vacillanti della vecchia Europa. L'anello più forte, che sembrava non dover mai cedere ed essere, al contrario, il pugno che avrebbe aiutato il braccio lacunoso dei suoi compari asiatici o europei, aveva una paglia nell'acciaio. La cannuccia farà cedere l'anello. »

Questo articolo rispondeva "no" a tutti quelli di sinistra che chiedevano che la popolazione nera rinunciasse alla violenza con il pretesto che solo l'intera classe operaia americana poteva prendere il potere. Affermava che è la lotta della parte più combattiva della classe operaia che potrebbe portare tutti i lavoratori a capire che hanno interessi comuni e a raggiungere lo stesso livello di consapevolezza. Non è attraverso la propaganda, ma attraverso l'azione che Neri e Bianchi potrebbero acquisire questa consapevolezza.

Allo stesso tempo, l'articolo specificava i limiti di queste lotte. Gli eventi vissuti dalla popolazione nera avrebbero potuto diventare la prima tappa di una rivoluzione se ci fossero stati marxisti rivoluzionari a capo del movimento e non solo dirigenti principianti. L'articolo promuoveva l'idea che le organizzazioni trotskiste avevano un ruolo indispensabile da svolgere. A causa dei loro legami con la storia del movimento rivoluzionario, dovevano cercare di creare un partito rivoluzionario nero su questa base programmatica.

Questo articolo mi è sembrato un tuono. Apriva prospettive che non erano difese da nessuno della sinistra americana. Devo anche ammettere che sono rimasta molto sorpresa nel vedere che era stato scritto in un altro paese.... la Francia. Una piccola lezione di internazionalismo in un certo modo!

L'articolo che ho citato è stato scritto nel 1967 da Voix Ouvrière, ma si basava sul ragionamento di Trotsky nelle sue discussioni con il SWP - Socialist Workers Party - negli anni '30.

Nel 1967, l'opportunità di creare un partito operaio è stata persa. E la situazione è cambiata molto da allora. Ma il problema di fondo è rimasto lo stesso degli anni Sessanta o Trenta. Questo è quello che Trotsky scriveva nel 1933:

"Credo che, a causa dell'arretratezza politica e teorica senza precedenti della classe operaia americana e dei progressi economici senza precedenti che ha compiuto, il suo risveglio può essere raggiunto molto rapidamente... È possibile che, in quel momento, siano i neri a costituire l'avanguardia della classe operaia. Sono assolutamente certo che, in ogni caso, combatteranno più duramente dei lavoratori bianchi".

Il problema che si pone a qualsiasi organizzazione americana è come riuscirà a creare legami con la parte più oppressa della classe operaia, perché il ragionamento di Trotsky del 1933 è ancora valido.

L'altro problema che proccupava Trotsky era l'assenza di un partito operaio negli Stati Uniti. Nel 1938, in una discussione con il SWP, dichiarava che la classe operaia avrebbe fatto un primo passo nella sua educazione politica quando avesse avuto un proprio partito di massa. Nel 1938 disse anche che questo era già all'ordine del giorno da cinque o dieci anni. E, quasi cento anni dopo, questo primo passo non è ancora stato compiuto.

Non pretendo che, con le forze limitate di Spark, abbiamo i mezzi per far sì che queste cose accadano, ma possiamo almeno cercare un modo concreto e pratico per difendere questa idea.

Nel 2016, abbiamo lanciato una campagna per presentare alle elezioni un partito che si appelli alla classe operaia, nello Stato del Michigan. Il nostro obiettivo era quello di far conoscere le nostre idee, in particolare la necessità per la classe operaia di avere una propria organizzazione politica per influenzare la lotta di classe.

Il sistema elettorale negli Stati americani è complesso e mira a scoraggiare i potenziali candidati. Per candidarsi alle elezioni, un partito deve raccogliere migliaia di firme di cittadini che sostengono il suo approccio. Nello stato del Michigan, per poter presentarci, è stato necessario raccogliere 31.000 firme. Beh, ce l'abbiamo fatta! Abbiamo persino superato questa cifra perché pensavamo che sarebbe stato necessario un surplus di 10.000 - 20.000 firme per essere sicuri di riuscire.

All'inizio non eravamo sicuri di trovare decine di migliaia di persone d'accordo sul fatto che la nostra lista sia presente alle elezioni. E anche trovando queste migliaia di persone, quanti sarebbero disposti a firmare una petizione che verrebbe consegnata alle autorità dello Stato?

Beh, Trotsky aveva in un certo modo risposto a questa domanda in anticipo. In una discussione con il SWP sulla necessità di creare un partito operaio, aveva risposto a coloro che sostenevano che i lavoratori non si interessavano a questa questione: "Solo attraverso l'azione possiamo conoscere lo stato d'animo dei lavoratori. E le nostre parole d'ordine devono rispondere alle domande che sono all'ordine del giorno. In tutti i casi, il fattore determinante resta la situazione oggettiva".

Di fatto, il nome della nostra lista - Working Class Party / Partito dalla classe operaia - è diventato il nostro slogan elettorale, perché la situazione oggettiva richiedeva che la classe operaia avesse una propria organizzazione politica. La nostra candidatura ha permesso ad una parte della classe operaia di esprimere la sua volontà di avere un proprio partito - almeno nello Stato del Michigan, dove abbiamo fatto campagna elettorale.

I lavoratori hanno risposto alla nostra campagna al di là di qualsiasi cosa avessimo immaginato. Quando siamo scesi per la prima volta in strada per chiedere a degli sconosciuti di firmare la nostra petizione, ci furono naturalmente sguardi sospettosi e osservazioni ostili. Ma molte persone prendevano la petizione e dicevano: "Dove devo firmare?".

Un aneddoto. Un giorno, una delle nostre compagne andò da un parrucchiere nel Michigan rurale per un taglio di capelli. Dopo un po', chiede alla giovane parrucchiera che si prendeva cura di lei se avesse accettato di votare per un partito operaio. La parrucchiera si è spostata all'indietro e poi le ha detto: "Un partito operaio? Che bella idea! Perche' nessuno ci ha mai pensato prima?"

In fin dei conti i nostri risultati alle elezioni del 2016 hanno superato le nostre aspettative. Duecentomila persone hanno votato per noi! Quasi un quarto dei voti proveniva da regioni in cui non abbiamo nemmeno fatto campagna elettorale. Ciò significa che migliaia di lavoratori hanno votato per noi semplicemente perché, per la prima volta, potevano votare... operaio.

Nel 1938, negli Stati Uniti, i sindacati avevano appena portato alla creazione di una confederazione che organizzi tutti i lavoratori senza distinzione, il CIO. Ma secondo Trotsky, i sindacati erano ancora in una situazione di stallo e l'unica via d'uscita per la classe operaia era di unirsi e lottare politicamente per influenzare la lotta di classe. Il SWP non disponeva dei mezzi per essere il partito di cui la classe operaia aveva bisogno. Trotsky ha quindi discusso con i compagni del SWP su come intervenire nei sindacati per andare verso la creazione di un partito operaio.

Le nostre campagne elettorali non hanno questa ambizione. Ma ci permettono di esprimerci, al nostro livello, su questa questione. I nostri risultati attestano la validità delle idee di Trotsky sulla classe operaia americana, compresa l'idea che le cose potrebbero cambiare più velocemente di quanto si possa immaginare, anche in questo paese che sembra essere un ostacolo alla rivoluzione.

Intervento di Pierre Royan - Lutte Ouvrière (Francia)

II - La crisi attuale e il Programma di Transizione : l'agonia del sistema capitalista

Bisogna essere ciechi o ingenui per non vedere che la società sta affondando nella crisi. Crisi si aggiungono a crisi: crisi economiche, finanziarie, politiche, ecologiche. In realtà, c'è una sola crisi: quella di un'organizzazione sociale in agonia che sta trascinando tutta l'umanità verso il basso.

La disoccupazione affligge l'intera società. La finanza si sta sviluppando come un cancro che minaccia in ogni momento l'economia con un nuovo crollo finanziario dalle conseguenze più devastanti di quella del 2008, che sono già state catastrofiche e hanno accelerato l'evoluzione reazionaria generale.

Paesi presentati come emergenti solo pochi anni fa, come la Turchia o il Brasile, sono caduti in recessione. Altri, come l'Argentina, sono ancora una volta strangolati dai creditori. Le mense per i poveri sono sommerse di lavoro e i prezzi dei generi di prima necessità salgono alle stelle. In Siria, Iraq, Yemen, Libia in particolare, la crisi ha significato guerra, distruzioni inaudite, centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati.

In Europa, negli Stati Uniti o in Brasile, i partiti di estrema destra si sono avvicinati al potere o sono già al potere. Nei paesi poveri dell'Asia e dell'Africa, l'evoluzione reazionaria si manifesta da molto tempo attraverso lo sviluppo di forze religiose fondamentaliste o etniche, che hanno conquistato un pubblico crescente. E in assenza di un movimento operaio organizzato, si sono affermate come rappresentanti della lotta contro l'imperialismo.

E questa organizzazione sociale in fase terminale sta trascinando l'umanità verso un altro disastro, ecologico. Marx aveva già scritto che il capitalismo si era sviluppato solo "esaurendo allo stesso tempo le due fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e il lavoratore". Ma oggi, i danni causati all'ambiente dall'economia capitalista sono di tutt'altra portata. Gli esperti climatici mettono costantemente in guardia sulle conseguenze irreversibili e catastrofiche dell'aumento della temperatura del globo. Ma dopo gli annunci altisonanti dei governi, non accade nulla. Su questa questione, come su tutte quelle che riguardano il futuro della società, il comportamento irresponsabile della borghesia può essere riassunto come segue: "Dopo di me, il Diluvio". L'urgenza della situazione richiederebbe una risposta coordinata a livello dell'intera comunità umana. Ma un'organizzazione sociale in cui prevalgono la proprietà privata dei mezzi di produzione e la concorrenza capitalista, e che è dominata dalla rivalità tra stati imperialisti, è assolutamente incapace di una tale impresa.

Quindi ci vuole tutta la compromissione degli intellettuali della borghesia per osare affermare che il capitalismo rappresenta un futuro per l'umanità, a meno che non si chiami futuro il caos e la barbarie. Questa organizzazione sociale è responsabile di due guerre mondiali, le due più grandi carneficine della storia. E questo è già sufficiente per condannarla. I suoi difensori lodano la libertà imprenditoriale e la libera concorrenza. Ma il capitalismo stesso ha da tempo soffocato queste libertà. Lenin scriveva già, parlando dell'imperialismo come stadio supremo del capitalismo:

"Non è assolutamente più la vecchia libera concorrenza fra padroni dispersi, che si ignoravano a vicenda e producevano per un mercato sconosciuto. (...). Il capitalismo nella sua fase imperialista conduce alle porte della socializzazione integrale della produzione (...). La produzione diventa sociale, ma l'appropriazione rimane privata. I mezzi di produzione sociali rimangono proprietà privata di un piccolo numero di individui (...) e il giogo esercitato da una manciata di monopolisti sul resto della popolazione diventa cento volte più pesante, più tangibile, più intollerabile".

Era cent'anni fa. Oggi questi aspetti si sono moltiplicati. I monopoli sono ancora più potenti, il loro parassitismo ancora più insopportabile e, allo stesso tempo, l'economia è più che mai "alle porte della socializzazione integrale" come diceva Lenin. Ma per varcare queste porte, cioè per fare dell'economia un bene comune controllato collettivamente, dobbiamo porre fine al regno della proprietà privata dei mezzi di produzione. E per questo è necessaria l'azione consapevole di una classe, che deve solo perdere le sue catene: in una parola, il proletariato, che rimane l'unica classe sociale rivoluzionaria.

Il capitalismo è sopravvissuto ad un secolo di decadenza perché la borghesia è riuscita a schiacciare le rivoluzioni proletarie quando sono emerse alla fine della Prima Guerra mondiale e poi perché è riuscita a sottomettere il movimento operaio con l'aiuto dello stalinismo alla fine della Seconda Guerra mondiale.

Il ricordo degli anni rivoluzionari 1917-1919 era ancora vivo nella memoria della borghesia al tempo della Seconda Guerra mondiale: temeva le reazioni del proletariato. Quindi, nel 1943, Roosevelt e Churchill, i leader degli imperialismi che sarebbero usciti vittoriosi dal conflitto, andarono a trovare Stalin nella sua casa di Yalta, in Unione Sovietica, per fondare una santa alleanza controrivoluzionaria. Stalin annunciò lo scioglimento dell'Internazionale comunista, rinominò l'Armata Rossa, Esercito Sovietico, e lo trasformò in un esercito di repressione della popolazione dei paesi che occupava. Gli Alleati, invece, organizzarono ondate di bombardamenti micidiali per terrorizzare la popolazione civile. A Dresda, Tokyo, poi Hiroshima e Nagasaki con le prime bombe atomiche, massacrarono centinaia di migliaia di civili. Sotto la repressione combinata della borghesia e della burocrazia, alla fine della guerra il movimento operaio europeo era distrutto o schiacciato.

La borghesia aveva evitato un'ondata rivoluzionaria in Europa. Ma non poteva sfuggirvi in Asia. In Indonesia, India, Cina, Corea, Indocina, milioni di oppressi si ribellarono. Anche in questo caso lo stalinismo svolse il suo ruolo controrivoluzionario. I partiti stalinisti rccomandarono ai lavoratori la sottomissione alla borghesia nazionale. E in nome della lotta per l'indipendenza, misero a tacere qualsiasi programma rivoluzionario proletario. In Vietnam, come Mao in Cina, Ho-Chi-Minh fece uccidere i militanti trotskisti perché rappresentavano per lui il pericolo di una politica proletaria indipendente. Questa ondata di rivoluzioni costrinse le potenze coloniali a cedere sull'indipendenza dei paesi che controllavano, ma l'imperialismo rimaneva in vigore.

E all'indomani di tutti questi eventi, ciò che restava del movimento operaio non minacciava più il capitalismo che, in una certa misura, poteva muoversi liberamente.

Così, dopo anni di distruzione, il capitalismo sembro' riguadagnare dinamismo. In realtà, erano gli Stati che prendevano in carica la ricostruzione dell'economia a vantaggio della borghesia. Questo slancio, che si esauri' all'inizio degli anni '70, non rappresentava una nuova ascesa del capitalismo. Si basava sulle devastazioni della Seconda Guerra mondiale ed ebbe come conseguenza di portare le contraddizioni del capitalismo ad un livello ancora più alto. I trust, grazie al sostegno dello stato, avevano ormai acquisito capacità produttive continentali o mondiali. Ed è su scala mondiale che le forze produttive entravano in conflitto con le dimensioni limitate dei mercati. All'inizio degli anni '70, l'economia mondiale sprofondava di nuovo nella crisi.

I capitalisti non speravano più un'espansione dei mercati. Quindi, per trovare sbocchi per i loro capitali, gli Stati aprirono loro le porte delle aziende pubbliche, in modo che potessero interferire ovunque ci fosse profitto da realizzare con mercati garantiti: nei trasporti, nella posta, negli ospedali, nella gestione delle acque, nella gestione dei rifiuti...

E c'è un settore in cui i capitali affluirono senza limiti, è la finanza. Questa ha assunto una portata mai vista prima. Attraverso le banche e molte altre istituzioni, la sfera finanziaria agisce come un gigantesco usuraio al di sopra della società, collocando i capitali ovunque possano guadagnare, indebitando famiglie, aziende e Stati. Questo parassitismo soffoca l'intera economia capitalista ma garantisce alla borghesia la continuazione del suo arricchimento.

L'entusiasmo per gli investimenti finanziari ha portato a un'esplosione della speculazione: su beni immobili, azioni, valute, materie prime, debiti societari e statali, e molte altre cose... E per accompagnare lo sviluppo di questa speculazione, gli Stati hanno fatto saltare, una dopo l'altra, tutte le regole che moderavano questa economia da casinò.

Marx aveva già scritto che un capitalista "non è mai così infelice come quando non sa cosa fare con i suoi soldi". E aggiungeva: "Questo è il segreto di tutte le grandi speculazioni, di tutte le imprese redditizie, ma anche di tutti i fallimenti, di tutte le crisi creditizie, di tutti i drammi commerciali". Nell'era della finanziarizzazione, questa necessità intrinseca al capitale di trovare dove essere investito per guadagnare il più possibile e crescere il più velocemente possibile ha portato ad un vertiginoso aumento della quantità di capitali in circolazione.

Ma questa massa di soldi sempre più colossale non contribuisce allo sviluppo della produzione, ma la parassita. Il problema è ancora e sempre la proprietà privata dei mezzi di produzione e di questi capitali, che impedisce l'uso razionale e nell'interesse generale di tutta questa ricchezza accumulata.

Naturalmente, ci sono state scoperte e innovazioni. E anche investimenti produttivi. Sono emersi nuovi mercati, come ad esempio il mercato degli smartphone. Ma quando il tenore di vita della classe operaia continua a diminuire, acquistare un telefono significa per un lavoratore risparmiare su qualcos'altro: cibo, alloggio, trasporti, cure. Il nuovo mercato della telefonia mobile non ha ampliato il mercato globale, ma ha solo aumentato la concorrenza tra i diversi settori dell'economia. Nessun nuovo mercato ha portato nuova vita al capitalismo. Anche l'apertura al mercato dei paesi dell'Europa orientale e della Cina non ha fatto uscire l'economia globale dalla crisi. Perché questi mercati alla fine rappresentavano poco rispetto alle enormi capacità produttive dei trust, che potevano assorbire l'aumento della domanda senza dover realmente reinvestire. Invece, le forze produttive che si sono sviluppate in questi paesi si sono aggiunte alle forze produttive esistenti e hanno aggravato la concorrenza economica e la crisi.

Oggi l'economia mondiale è ritmata soprattutto dagli alti e bassi della finanza. Ad ognuno dei suoi crolli, decine di milioni di lavoratori o contadini poveri di tutto il mondo cadono nella miseria. Gli Stati vanno in bancarotta o, come in Africa, addirittura si disintegrano, lasciando posto a milizie armate che fanno regnare la loro legge. Gli stati imperialisti sono ogni volta intervenuti per salvare il sistema finanziario dal collasso aprendo le porte del credito pubblico... Ma questo non ha fatto che alimentare la fase successiva della speculazione e preparare un nuovo collasso dalle conseguenze più devastanti.

Tanto dal punto di vista economico che politico, l'ordine sociale capitalista non può che aumentare il caos. Come scriveva Trotsky nel 1938: "La borghesia stessa non vede vie d'uscita". Tutta la vita sociale si sta disintegrando e le forze reazionarie minacciano la classe operaia e la società nel suo complesso. Ma l'umanità non si lascerà condurre al macello senza reagire. E la classe operaia si ribellerà. Occorre pero' che sia munita di un programma rivoluzionario.

Attualità del Programma di Transizione

Un programma non è un dogma, è una guida per l'azione. E il Programma di Transizione, anche se è stato scritto 80 anni fa, rimane la guida più affidabile. E anche se da allora la società ha conosciuto cambiamenti e trasformazioni, per molti versi il mondo di oggi assomiglia a quello del 1938. E soprattutto, questo programma si basa su un'analisi marxista e scientifica del capitalismo in crisi, da parte dell'unico dirigente rivoluzionario che era in grado di trarne conclusioni generali per guidare la classe operaia nella sua lotta verso la rivoluzione sociale.

La coscienza di classe degli oppressi è ben lungi dall'essere al livello delle necessità del momento. Ma il ruolo dei rivoluzionari è quello di dire la verità ai lavoratori trovando il modo di collegare lo stato d'animo attuale della classe operaia ai bisogni della situazione.

Il Programma di transizione è stato scritto in questa prospettiva, per "superare la contraddizione tra la maturità delle condizioni oggettive della rivoluzione e l'immaturità del proletariato e della sua avanguardia (smarrimento e scoraggiamento della vecchia generazione, mancanza di esperienza di quella giovane). Occorre aiutare le masse a trovare, nel corso delle loro lotte quotidiane, ciò che colmerà il divario tra le loro attuali rivendicazioni e il programma della rivoluzione socialista. Questo ponte deve consistere in un sistema di rivendicazioni transitorie, che partono dalle condizioni attuali e dall'attuale consapevolezza di ampi strati della classe operaia e che portino invariabilmente ad un'unica conclusione: la conquista del potere da parte del proletariato".

Questo programma non è un elenco di rivendicazioni che potrebbero essere parzialmente ottenute. Nessuna di loro è realistica nell'ambito del capitalismo, nessuna di loro è accettabile per la borghesia senza la pressione rivoluzionaria delle masse. E se Trotsky le ha differenziate nel Programma di Transizione, per renderle il più possibile concrete, esse sono profondamente legate tra loro. La scala mobile dei salari e delle ore di lavoro, il controllo operaio sulla produzione, i comitati di fabbrica, le milizie operaie, l'espropriazione delle banche e delle grandi industrie... tutte queste rivendicazioni sono indissociabili.

La scala mobile dei salari e delle ore di lavoro - cioè, i salari dei lavoratori seguono gli aumenti dei prezzi e il numero di ore lavorative è distribuito tra tutti senza alcuna riduzione dei salari - significa imporre alla classe capitalista che i rischi della sua produzione e del mercato siano sostenuti da essa stessa e non dai lavoratori; che, per la sopravvivenza della classe operaia, la borghesia sopporti le contraddizioni del proprio sistema prelevando dai suoi profitti! Ma come possiamo immaginare che il proletariato possa imporre questo alla borghesia senza un controllo permanente degli sfruttati sia sulla produzione che sulla distribuzione per controllare i prezzi nei negozi? Come possiamo immaginarlo senza trovare il modo di coinvolgere i disoccupati attraverso comitati locali? E come possiamo immaginare questo controllo senza un'organizzazione democratica di tutti i lavoratori e soprattutto nelle aziende? In un tale periodo di lotta di classe, tale controllo da parte di milioni di lavoratori sull'economia non lascerà il padronato con le mani in mano. Cercherà di mobilizzare milizie e di inviarle contro questi comitati operai o contro i picchetti di sciopero, al che il proletariato dovrà rispondere organizzando le proprie milizie operaie.

La scala mobile dei salari e delle ore di lavoro sarà l'organizzazione del lavoro nella società socialista. Niente di meno. Ma svuotata dal suo significato rivoluzionario e isolata dal resto delle rivendicazioni di transizione, la scala mobile dei salari, ad esempio, può perfettamente essere rivendicata da molti governi europei, che avevano reso legale una rivalutazione automatica del salario minimo basata su un indice statale dei prezzi.

Agli occhi della popolazione, le banche sono responsabili del caos economico. Porre l'accento sulla necessità del loro esproprio senza eccezioni e della loro fusione in un unico sistema bancario pubblico per finanziare l'economia nell'interesse della popolazione è, per la stragrande maggioranza dei lavoratori e per molti segmenti della popolazione, una misura piena di giustizia e buon senso. Ma può essere presa in considerazione solo se accompagnata dal controllo, dal basso, da parte della popolazione e dei lavoratori delle banche, e come un passo verso l'espropriazione dell'intera grande borghesia.

Di fatto, nessuna delle rivendicazioni transitorie può essere concepita senza l'azione consapevole e diretta delle masse, cioé senza il controllo operaio. Nel 1917, poco prima della Rivoluzione di Ottobre, Lenin opponeva al controllo "burocratico e reazionario" dello Stato, il controllo "democratico e rivoluzionario" delle masse, e aggiungeva: "Fondamentalmente, tutta la questione del controllo si riconduce a sapere chi è il controllore e chi è il controllato, cioè quale classe esercita il controllo e quale classe lo subisce".

Queste richieste possono essere appropriate delle masse solo in tempi di esplosione sociale. Ma quando milioni di lavoratori intraprendono questa strada, la coscienza evolve molto rapidamente. Un'organizzazione rivoluzionaria può sperare di far sentire questo programma solo se è portato avanti da militanti operai rivoluzionari che se lo sono già appropriato e che potranno trasmettere concretamente il suo contenuto, le sue rivendicazioni transitorie, confidando nella capacità del proletariato di realizzarle. Allora questo programma potrà diventare quello della classe operaia, e questa potrà ritrovarsi nel partito che rappresenta i suoi interessi.

Parlando dell'aumento del pericolo fascista negli Stati Uniti nel 1938, Trotsky spiegava ai suoi compagni americani:

"Il nostro partito ha il dovere di prendere per le spalle ogni operaio americano e scuoterlo dieci volte per fargli capire la situazione in cui si trovano gli Stati Uniti. Non si tratta di una crisi di congiuntura, ma di una crisi sociale. Il nostro partito può svolgere un ruolo importante. Ciò che è difficile per un giovane partito che evolve in un'atmosfera gravata da precedenti tradizioni di ipocrisia, è lanciare uno slogan rivoluzionario. "È fantasioso", "Non è appropriato in America". Ma questo può cambiare quando lancerete le parole d'ordine rivoluzionarie del nostro programma. Alcuni rideranno. Ma il coraggio rivoluzionario non consiste solo nell'essere uccisi, ma anche nel sopportare le risate di persone stupide che sono in maggioranza. Ma quando uno di quelli che ridono sarà picchiato dalla banda di Hague [le milizie americane di estrema destra dell'epoca], penserà che è un bene avere un comitato di difesa e il suo atteggiamento ironico cambierà".

Oggi, rivendicare la creazione di milizie operaie sembra fuori questione. Ma i successi elettorali dell'estrema destra e, soprattutto, l'aggravarsi della crisi economica, che declassa interi settori della piccola borghesia, potrebbero creare le condizioni sociali e politiche per l'emergere di milizie fasciste come quelle che l'Europa ha conosciuto negli anni Trenta. Quello che è successo in Germania nella città di Chemnitz due mesi fa è un avvertimento. In seguito ad un omicidio, un fatto di cronaca, l'estrema destra di tutto il paese si è ritrovata a manifestare in questa città con diverse migliaia di persone. E piccoli gruppi organizzarono una caccia agli immigrati. Questo dimostra che da un giorno all'altro possiamo passare da successi elettorali dell'estrema destra alla violenza da parte di gruppi organizzati. E gli omicidi in Brasile di militanti di sinistra da parte di militanti di estrema destra illustrano la stessa cosa.

Quando la società capitalista sprofonda nella crisi, quando distrugge strati sociali che fino ad allora vivevano in un relativo benessere e costituivano la base della stabilità politica del parlamentarismo, allora la borghesia ha bisogno di nuove soluzioni per governare. E ne trova presso politici che sfruttano la rabbia sociale deviandola verso capri espiatori. Mentre la lotta di classe si intensifica, e la crisi continua a peggiorare, da un lato la borghesia vorrà sottomettere la classe operaia prima ancora che essa si mobiliti, dall'altro ci saranno persone declassate e rabbiose pronte ad arruolarsi per colpire le organizzazioni operaie.

La classe operaia dovrà quindi affrontare il problema della sua difesa, di difendere i suoi sindacati e le sue organizzazioni politiche che saranno l'obiettivo di queste milizie. Non è sul terreno del legalismo che i lavoratori possono farlo. Reclamare il divieto o il disarmo delle milizie di estrema destra significa affidarsi allo Stato che domani le sosterrà, se la borghesia glielo richiede. All'ascesa del fascismo, la classe operaia deve rispondere sul terreno della lotta di classe. Deve organizzare i propri gruppi di autodifesa per proteggere i propri scioperi, le manifestazioni, le riunioni delle organizzazioni operaie o i locali sindacali.

Nel Programma di Transizione, Trotsky scriveva:

"La lotta contro il fascismo inizia, non nella stesura di un volantino di protesta, ma nella fabbrica, e finisce nelle piazze. I crumiri e i poliziotti privati nelle fabbriche sono i nuclei dell'esercito fascista. I picchetti di sciopero operai sono i nuclei dell'esercito del proletariato. E' da qui che dobbiamo cominciare. In occasione di ogni sciopero, di ogni manifestazione di piazza, deve essere promossa l'idea della necessità di creare distaccamenti operai di autodifesa".

Ogni passo nell'organizzazione dell'autodifesa dei lavoratori sarà una minaccia per la borghesia e la spingerà a volgersi ancora di più verso il fascismo. Ma la terribile lezione che è stata la vittoria di Hitler, è che non c'è politica peggiore per il proletariato che schivare il combattimento. La lotta contro il fascismo è una lotta fino alla morte. Le illusioni riformiste e legaliste, che suggeriscono che la facciata democratica borghese potrebbe essere un baluardo contro il fascismo, possono solo disarmare i lavoratori. La classe operaia può combattere il fascismo solo se prende coscienza che questa lotta è contro la borghesia e il suo Stato, e che conduce alla rivoluzione proletaria.

Ed ecco cosa scriveva Trotsky verso la fine del Programma di Transizione:

"Guardare la realtà in faccia; non cercare la linea di minor resistenza; chiamare le cose con il loro nome; dire la verità alle masse, per quanto amara possa essere; non temere gli ostacoli; essere coloro sui quali si può fare affidamento nelle piccole cose, come nelle grandi cose; osare quando arriva il momento dell'azione; queste sono le regole della Quarta Internazionale".

Conclusione

Il movimento operaio ha affermato, da Marx, che i proletari non avevano una patria. E dopo Marx, il movimento operaio ha creato, ogni volta che ha potuto, organizzazioni internazionali. La Quarta Internazionale non poteva sopravvivere senza Trotsky. Ma anche senza una tale organizzazione, per il momento, è necessario per i rivoluzionari ragionare su scala internazionale.

Cannon, quando era dirigente del PC americano, tentava sempre di "risolvere le cose su scala americana", ha detto, aggiungendo: "Una delle lezioni più importanti che abbiamo imparato dalla Quarta Internazionale è che in tempi moderni, non si può costruire un partito politico rivoluzionario solo su base nazionale. È necessario iniziare con un programma internazionale e, su questa base, costruire sezioni nazionali di un movimento internazionale".

È anche per questo motivo che il Programma di Transizione è così importante. Trotsky ragionava su questa scala. E la nostra lotta quotidiana, i nostri sforzi quotidiani, nelle aziende, nei quartieri popolari, per costruire un'organizzazione operaia e un futuro partito, sono inseparabili dalla costruzione di una futura Internazionale. E' un partito del proletariato internazionale che deve essere costruito, un partito che rappresenti gli interessi degli sfruttati su scala mondiale e che intervenga nella vita politica da questo punto di vista.

All'epoca della Prima Internazionale, quella di Marx, il movimento operaio non aveva costruito partiti potenti in nessun paese. Ma l'Internazionale era già l'espressione politica del proletariato in via di sviluppo e in diversi paesi, militanti e lavoratori si sentivano rappresentati da essa. Le sue posizioni li guidavano. Solo un'organizzazione che vede la rivoluzione sociale come una prospettiva e porta il programma rivoluzionario della classe operaia potrà svolgere questo ruolo.

Anche se l'ambito degli Stati nazionali della borghesia è una realtà, è il quadro in cui si svolge la vita politica, è a livello internazionale che la lotta dei lavoratori deve essere condotta. Ciò che accade ai lavoratori di un paese preannuncia ciò che accadrà agli altri in futuro. L'estrema destra al potere in Polonia, Ungheria e Italia potrebbe esserlo qui domani. E se in un paese il proletariato riacquista fiducia nella sua forza collettiva, ciò avrà conseguenze per la classe operaia su scala internazionale. L'ordine sociale contro il quale il proletariato lotta è l'ordine imperialista mondiale. La rivoluzione russa ha minacciato l'intero sistema capitalista proprio perché era proletaria e perché la sua stessa esistenza rimetteva in causa il dominio capitalista e perché milioni di oppressi in tutto il mondo si riconoscevano in lei. E' questo impulso fondamentale, di classe, che la teoria di Stalin del "socialismo in un singolo paese" calpestava, per giustificare la rinuncia a qualsiasi prospettiva internazionalista e la difesa, non del socialismo, ma dei privilegi della burocrazia in un singolo paese.

Come e quando verrà creata un'Internazionale che riprenda il programma della Quarta Internazionale di Trotsky? Gli eventi della lotta di classe che precipiteranno la sua costituzione saranno senza dubbio internazionali. L'internazionale, dei partiti operai comunisti rivoluzionari con un reale peso politico in diversi paesi, tutto cio' arriverà certamente in un solo movimento.

Discutendo del problema dell'assenza di un partito rivoluzionario alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, Trotsky poneva la domanda: "Riusciremo a preparare in tempo un partito capace di guidare la rivoluzione proletaria?" E continuava:

"Per rispondere correttamente a questa domanda, occorre porla correttamente. Naturalmente, una tale rivolta può e anche deve finire in una sconfitta dovuta alla mancanza di maturità della direzione rivoluzionaria. Ma non si tratta di un solo e unico sollevamento. Si tratta di un'intera epoca rivoluzionaria.

Il mondo capitalista non ha via d'uscita, a meno di considerare come tale una prolungata agonia. Dobbiamo prepararci a lunghi anni, se non decenni, di guerre, sommosse, brevi intervalli di tregua, nuove guerre e nuove rivolte. È su questa base che deve essere fondato un giovane partito rivoluzionario. La storia gli darà sufficienti opportunità e possibilità di mettersi alla prova, di accumulare esperienza e di maturare.

(...) Ma il grande problema storico non sarà risolto in nessun modo finché un partito rivoluzionario non prenda la guida del proletariato. La questione dei ritmi e degli intervalli è di enorme importanza, ma non modifica né la prospettiva storica generale né l'orientamento della nostra politica. La conclusione è semplice: è necessario fare il lavoro di educazione e di organizzazione dell'avanguardia proletaria con un'energia decuplicata".

Questo è il nostro compito.

1) Tredici giorni prima, secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia, ragione per la quale si parla della rivoluzione di Febbraio. La stessa ragione spiega che si parli della rivoluzione di Ottobre 1917, che scoppiò il 7 novembre, secondo il calendario internazionale.

2) https://www.marxists.org/francais/bios/naville.htm