Algeria: tre anni dopo la fine dell'Hirak, una svolta autoritaria

печать
20 febbraio 2023

Da "Lutte de Classe" n°230 - Marzo 2023

* * * * * * * * *

In Algeria, le speranze suscitate nel 2019 dall'Hirak, il grande movimento di protesta contro la candidatura di Abdelaziz Bouteflika alla presidenza hanno lasciato il posto al disincanto. Il movimento ha costretto Bouteflika a dimettersi, ma il "sistema" di cui i manifestanti volevano liberarsi sta ancora lì. Tre anni dopo la fine dell'Hirak, Abdelmadjid Tebboune, che sembrava un presidente illegittimo e mal eletto, è riuscito a imporsi usando alternativamente il bastone e la carota. Ha abilmente approfittato delle varie crisi che hanno colpito il Paese, per operare una svolta sempre più autoritaria del regime.

Allo stesso tempo, di fronte alla gravità della crisi sociale, Tebboune ha assunto il ruolo di un Bonaparte. Vuole apparire preoccupato degli interessi delle classi lavoratrici e della protezione dei più poveri, mentre innanzitutto si prende cura dei padroni algerini e dei grandi gruppi internazionali. Il riaccendersi delle tensioni con il Marocco gli ha permesso di presentarsi come il salvatore della nazione e di creare un sentimento di unità nazionale. L'aumento dei prezzi del gas e del petrolio, in seguito alla guerra in Ucraina, gli ha dato un margine di manovra finanziario che, se non ha portato ad un sostegno delle classi lavoratrici, ha creato una forma di attendismo che ha mantenuto facendo nuove promesse sul potere d'acquisto.

L'assenza di una direzione operaia avvantaggia il regime

Il 2 aprile 2019, di fronte all'importanza della mobilitazione popolare, il capo di Stato maggiore dell'esercito, la spina dorsale del potere, spingeva Bouteflika a dimettersi. I militari si liberavano così del paravento civile dietro il quale avevano scelto di nascondersi vent'anni prima, alla fine del cosiddetto decennio nero. Hanno impiegato mesi per imporre l'organizzazione di nuove elezioni e riuscire ad installare un nuovo paravento civile, capace di trovare una via d'uscita alla crisi politica. Questo risultato non poteva venire dai cosiddetti partiti di opposizione, attivi all'interno dell'Hirak. Alcuni, come i democratici e gli islamisti, erano stati screditati dalla loro compromissione con Bouteflika. Altri, come i badisti, sostenitori di una corrente conservatrice chiamata Badissia-Novembria, non apparivano come una prospettiva credibile per la popolazione nel suo complesso, nonostante una certa presenza nell'Hirak. L'organizzazione Rachad, fondata da ex dirigenti dell'integralista FIS (Fronte Islamico di Salvezza), il cui portavoce Mohamed Larbi Zitout è in esilio dal 1995 a Londra da dove conduce un canale televisivo molto popolare in Algeria, non ha avuto più successo.

Il "degagisme" (Dalla parola d'ordine "dégage" ossia vattene in francese), che si riassume ad un semplice rifiuto della politica del potere, non offriva alcuna via d'uscita alle classi lavoratrici, alle prese con le crescenti difficoltà della vita quotidiana. Molti si sono allontanati dall'Hirak, in cui le forze politiche in gioco, islamisti e democratici, ignoravano o addirittura disprezzavano gli interessi dei lavoratori. In effetti, pur essendo in competizione, islamisti e democratici hanno in comune la disponibilità a servire fedelmente gli interessi della borghesia algerina. L'assenza di un partito politico che difenda realmente gli interessi delle classi sfruttate ha lasciato i lavoratori senza una propria direzione e senza una prospettiva. Ai margini dell'Hirak, diverse categorie di lavoratori sono entrate in lotta separatamente, una dopo l'altra. I lavoratori con contratto provvisorio, quelli licenziati per aver creato un sindacato, gli insegnanti e gli operatori sanitari hanno verificato che per migliorare i loro salari e condizioni di lavoro potevano contare solo su se stessi.

Nel dicembre 2019, nonostante la continuazione dell'Hirak e gli appelli al boicottaggio, Abdelmadjid Tebboune è stato eletto Presidente della Repubblica, con il 39,9% dei voti. Alla guida di un Paese con un'economia dissanguata, in particolare a causa del crollo del prezzo del petrolio dal 2014, sembrava in una situazione difficile.

La crisi sanitaria come opportunità per una svolta

Nel 2020 la crisi sanitaria ha permesso a Tebboune di porre fine a un anno di proteste e marce settimanali. Anche se la stanchezza e la mancanza di prospettive avevano assottigliato le file dei manifestanti, queste marce lo mettevano sotto sorveglianza. Con la fine dell'Hirak, Tebboune ha avuto le mani più libere per riprendersi gradualmente il terreno che il potere aveva dovuto concedere. Oggi, la libertà di manifestazione che l'Hirak era riuscito a imporre nelle piazze è finita. Le libertà di espressione, di riunione e di associazione sono calpestate.

È vero che per ora il regime non ha attuato una repressione simile a quella dei militari in Sudan. Non ha nemmeno inviato i carri armati contro i manifestanti, come fece durante la rivolta dell'ottobre 1988. Questo rassicura certamente una parte dell'opinione popolare, segnata dal trauma del decennio nero e che osserva con preoccupazione il caos libico e siriano.

Tuttavia, centinaia di persone sono state imprigionate per le loro opinioni, studenti, lavoratori, militanti, politici, hirakisti, blogger, membri di associazioni e giornalisti. Senza essere repressi, alcuni tifosi del club di calcio Ouled el-Bahdja, resi famosi dalla loro canzone di denuncia, La casa del Mouradia, dicono di aver subito molestie. Il governo ha approfittato della fuga della giornalista franco-algerina Amira Bouraoui in Francia per presentare l'Algeria come vittima di ingerenze straniere e giustificare così ulteriori arresti.

Dal giugno 2021, grazie alla revisione dell'articolo 87 bis del Codice penale, il regime può accusare di terrorismo chi "opera o incita, con qualsiasi mezzo, ad accedere al potere o a cambiare il sistema di governo con mezzi non costituzionali". Se per ora solo le correnti reazionarie del MAK e di Rachad sono state accusate di terrorismo e messe al bando, le autorità possono usare questo articolo contro tutti coloro che in un modo o nell'altro aspirano al cambiamento.

Il controllo autoritario può assumere molte forme e può essere esercitato anche in nome degli interessi dei più svantaggiati. Questo è accaduto con i nuovi articoli di legge adottati col pretesto di combattere la speculazione, resa responsabile delle penurie. Così, in risposta alla penuria di latte sovvenzionato, consumato dai più poveri, il governo ha fatto propaganda all'invio di forze di polizia dai piccoli commercianti. Coloro che sono stati accusati di aver fatto scorte di latte o di averlo venduto a 27 o 30 dinari (15 centesimi di euro) invece che a 25 sono stati sottoposti a un processo rapido e ad alcuni sono state comminate pene detentive di dieci anni. D'altra parte, i grandi speculatori, quelli che sono all'inizio della catena, non sono stati presi di mira. Gli abitanti dei quartieri popolari vivono queste incursioni della polizia come una dimostrazione di forza volta a intimidirli. Il governo teme le loro reazioni perché le loro proteste di piazza, blocchi stradali e occupazioni dei municipi sono mezzi di azione che hanno spesso utilizzato per chiedere lavoro, alloggi o allacciamenti al gas. Una recente legge criminalizza tali azioni e ora i manifestanti rischiano fino a vent'anni di carcere.

Il governo vuole mettere ulteriormente i lavoratori in riga, attaccando il diritto di sciopero e il diritto di organizzazione. Questi diritti sono già spesso calpestati, soprattutto nel settore privato dove la precarietà del lavoro è molto diffusa. La confederazione UGTA, storica sostenitrice del regime, non ha cercato di radicarvisi per non creare problemi ai padroni, i quali ostacolano la nascita di sindacati all'interno delle loro aziende. Così, nel 2021, i 191 lavoratori della Numilog, una filiale del gruppo Cevital, sono stati tutti licenziati per aver creato un sindacato UGTA e, nonostante le numerose sentenze a loro favore, non sono mai stati reintegrati. La legge padronale è la più forte.

Inoltre, nel settore pubblico, per rendere i sindacati ancora più docili, sono stati appena elaborati due disegni di legge che mirano a limitare l'esercizio del diritto di sciopero e del diritto di organizzazione. Essi rendono illegale la presenza di militanti politici nei sindacati. Inoltre, nei cosiddetti settori strategici, in realtà la stragrande maggioranza dei settori, il ricorso allo sciopero sarà vietato e perseguibile penalmente. Nei settori in cui lo sciopero sarà consentito, i lavoratori dovranno dare un preavviso di 15 giorni. Gli scioperi saranno considerati legali se votati a scrutinio segreto da due terzi dei lavoratori in presenza di un rappresentante del padrone. La bozza vieta anche gli scioperi a sfondo politico e gli scioperi di solidarietà.

Le proteste delle principali confederazioni sindacali, l'UGTA asservita al governo e la CSA (Confederazione dei Sindacati Autonomi) sono state deboli e non all'altezza di questo attacco senza precedenti. Alla base, da Tamanrasset ad Annaba e da Bouira a Djelfa, le assemblee generali dei sindacati e le sezioni locali dell'UGTA di tutto il Paese hanno respinto questo progetto e aspettano un segnale da parte dei vertici sindacali. Entrambi si accontentano di lamentarsi per il fatto che il governo abbia elaborato queste leggi anti-lavoro senza consultarli e denunciano il loro carattere incostituzionale, ma si appellano a Tebboune, cioè a chi ha promosso queste leggi, per un arbitrato.

Il populismo di Tebboune

Pur mostrando il suo autoritarismo, Tebboune cerca di evitare un'esplosione sociale. Come i suoi predecessori, si barcamena tra gli interessi della borghesia algerina e le richieste del FMI da un lato, il malcontento delle classi lavoratrici dall'altro. Il Paese continua a essere duramente colpito dagli effetti combinati della crisi sanitaria, che ha portato l'economia al collasso per molti mesi, e della caduta storica dei prezzi del petrolio iniziata nel 2014. Gran parte delle entrate petrolifere erano svanite tra il 2014 e il 2021, una catastrofe se si pensa che il 95% della valuta estera del Paese proviene dalle esportazioni di idrocarburi.

Per soddisfare le richieste del FMI, Tebboune aveva promulgato, nella legge finanziaria del 2022, la fine dei sussidi sui prodotti di base istituiti dopo l'indipendenza del Paese: zucchero, olio, semola e latte, ma anche energia, gas, elettricità e benzina. Ha giustificato la fine dei sussidi dicendo di volerli sostituire con aiuti pubblici per i più poveri. Ma "poveri lo siamo tutti", è stata la reazione della maggioranza dei lavoratori. In ogni caso, questa misura, che sarebbe dovuta entrare in vigore nel gennaio 2022, è stata rinviata. Per ora Tebboune sta prendendo tempo. Nel tentativo di contrastare l'inflazione accelerata che sta impoverendo gran parte della popolazione, ha abolito le tasse sui cereali per limitare l'aumento del prezzo di semola e pasta. Inoltre il recente aumento dei prezzi del gas e del petrolio, in seguito alla guerra in Ucraina, ha dato al regime un inaspettato margine di manovra.

Da quando è stato eletto, Tebboune si è atteggiato a giustiziere, puntando il dito contro le disparità regionali e mostrando l'ambizione di sradicare le "zone grigie", i villaggi privi di collegamenti al gas e di infrastrutture. Ha più volte ribadito che la sua priorità è preservare il potere d'acquisto. Tra il 2020 e il 2021, l'IRG, l'imposta prelevata alla fonte, è stata abolita per gli stipendi più bassi. Così nelle tasche dei lavoratori rientravano ogni mese da due a cinquemila dinari (da dieci a trenta euro), a seconda del loro stipendio. Ma questa somma si è rapidamente rivelata irrisoria in considerazione dell'inflazione.

Nella funzione pubblica, con il congelamento degli stipendi nell'ultimo decennio i lavoratori dell'istruzione, della sanità e dei comuni sono diventati più poveri. Il governo riconosce che gli stipendi sono molto bassi e in media molto inferiori a quelli del settore privato. Inoltre, nell'aprile 2022, l'annuncio della rivalutazione del punto di contingenza aveva suscitato speranze, ma il suo importo, 2.200 dinari (11 euro), è stato percepito come un insulto da tutti i dipendenti pubblici, che hanno risposto massicciamente all'appello dei sindacati per uno sciopero. La manifestazione indetta a Béjaïa dai sindacati locali è stata vietata. Il governo ha minacciato i sindacati, accusandoli di "non lavorare per preservare un clima sociale sereno", tanto necessario per i buoni affari della borghesia. In risposta alla crescente rabbia, Tebboune si è impegnato a nuovi aumenti per il 2023.

Mentre attacca i diritti dei lavoratori, il presidente ha appena annunciato il licenziamento di 60.000 insegnanti a contratto temporaneo e nuove misure riguardanti il potere d'acquisto dei pensionati, dei disoccupati e dei dipendenti pubblici. Secondo il ministro del Lavoro, queste misure, applicabili a marzo 2023, riguarderebbero un totale di 7,7 milioni di persone.

Per quanto riguarda gli stipendi degli statali, a seconda del settore i lavoratori dovrebbero ricevere tra 4.500 e 8.000 dinari in più al mese nel 2023, e lo stesso importo nel 2024. Le pensioni di anzianità verrebbero aumentate in modo che nessuna sia inferiore al salario minimo, che è di 20.000 dinari, ovvero circa 100 euro. L'assegno di pensionamento, percepito dai lavoratori che hanno versato tra sette e quindici anni di contributi, non dovrebbe essere inferiore a 15.000 dinari.

Il numero dei beneficiari del sussidio di disoccupazione, attualmente limitato a 900.000, aumenterebbe a 1,9 milioni. L'indennità di 13.000 dinari passerebbe a 15.000 dinari nel 2023.

Queste misure rappresenteranno certamente una boccata d'ossigeno per molte famiglie, che devono sostenere una gioventù massicciamente colpita da una disoccupazione al tasso del 40%, ma sono ben lungi dall'aver debellato le conseguenze della precedente crisi. In ogni caso, le misure di cui il governo si vanta sono ben poco rispetto ai regali fatti ai padroni algerini e a tutti gli investitori stranieri.

Patriottismo economico

Sul fronte economico, e in nome della lotta alla disoccupazione, Tebboune coltiva il patriottismo economico. Da un anno conduce una campagna denominata "fronte interno", un vocabolario bellicoso che riecheggia il fronte esterno, le minacce di aggressione del vicino marocchino, strumentalizzate e amplificate dalla propaganda. Con questo fronte interno, il governo sostiene di lavorare per creare migliaia di posti di lavoro. Ogni settimana la televisione riferisce di progetti che stanno fiorendo in tutto il Paese. Non si sa quanti posti di lavoro verranno creati, ma è sicuro che svariati miliardi andranno agli investitori privati.

D'altra parte, molte imprese pubbliche di produzione sono state abbandonate dallo Stato, che rifiuta di investirvi i propri fondi. Spesso scoppiano scioperi per chiedere il pagamento di salari che da mesi non sono stati pagati. Arrabbiati dal disprezzo in cui sono tenuti, i lavoratori lottano coraggiosamente con le spalle al muro. Ma queste aziende in crisi vengono spesso acquistate per pochi spiccioli da padroni del settore privato. Tebboune si rifiuta di contrarre debiti con il FMI, per non compromettere la sovranità dell'Algeria. Egli difende il concetto di made in Algeria sviluppando l'agricoltura sahariana e sfruttando le terre rare e altre materie prime di cui il sottosuolo algerino è ricco, come l'uranio, l'oro, il ferro e il fosfato.

Nel settore edilizio, i grandi progetti e i cantieri fermi dal 2015 sono stati riavviati. Fiat e Renault sono tornate nel Paese con il riavvio degli impianti automobilistici ma, come nell'era di Bouteflika, queste fabbriche di assemblaggio assumono pochi dipendenti poiché la maggior parte del lavoro si svolge prima dell'importazione.

Questo patriottismo economico affida in realtà la parte del leone ai grandi gruppi stranieri, che investono in Algeria in tutti i settori. La nuova legge sugli idrocarburi consegna loro la ricchezza del Paese su un piatto d'argento a condizioni molto vantaggiose. L'ambizione dell'Algeria è di produrre 200 milioni di tonnellate di idrocarburi entro la fine del 2023. I giacimenti di gas, stimati in 2.400 miliardi di metri cubi, fanno gola ai capitali. Alle grandi compagnie come BP, Total, ENI ed ExxonMobil, già presenti in Algeria, se ne sono aggiunte altre.

Strumentalizzazione delle tensioni tra Marocco e Algeria

Per portare avanti la sua politica, tutte le crisi sono per Tebboune delle opportunità per creare un senso di unità nazionale. Ora sfrutta il riaccendersi delle tensioni con il Marocco per schierare le fila attorno al regime e mettere a tacere le proteste.

La rivalità algerino-marocchina era iscritta nei progetti dei dirigenti nazionalisti sin dall' indipendenza, poiché ognuno di loro mirava a costruire il proprio Stato. Sfociò nel 1963, poco dopo l'indipendenza dell'Algeria, nella Guerra delle Sabbie, un conflitto sui confini tra i due Paesi. Nel 1975, essi si scontrarono nella questione del Sahara occidentale, un'ex colonia spagnola che il Marocco rivendica e sta ancora occupando. Nel 1994, il Marocco ha accusato l'Algeria di essere all'origine dei micidiali attentati di Marrakech e da quel momento il confine tra i due Paesi non è più stato riaperto. Queste tensioni sembravano sopite fino alla proposta di Donald Trump, nel dicembre 2020, di riconoscere la sovranità marocchina sul Sahara occidentale, in cambio della normalizzazione delle relazioni tra Marocco e Israele. Questo accordo ha sconvolto l'equilibrio regionale e riacceso la rivalità tra i due maggiori Paesi del Maghreb.

Dopo questa normalizzazione, gli accordi di difesa appena firmati tra Israele e Marocco permettono al regime algerino di presentarsi come minacciato da questa alleanza sponsorizzata dagli Stati Uniti.

Una serie di eventi ha permesso al governo algerino di sostenere la tesi dell'aggressione, come l'uso del software di spionaggio israeliano Pegasus da parte dei servizi marocchini per spiare i funzionari algerini. Anche la creazione di una fabbrica di droni israeliani in Marocco e le manovre militari dell'esercito marocchino e delle forze israeliane, sotto la guida degli Stati Uniti, che si sarebbero svolte nel sud del Marocco vicino al confine algerino, alimentano le tensioni.

Queste tensioni permettono al governo algerino di atteggiarsi a paladino del diritto dei popoli all'autodeterminazione e di lusingare i sentimenti antimperialisti presenti nella popolazione. Questo regime, che calpesta i diritti democratici della propria popolazione, si presenta come il difensore del popolo palestinese oppresso da Israele e del popolo Saharawi vittima del Marocco. In realtà, dietro la disputa sul Sahara occidentale il vero obiettivo della competizione è di affermarsi come la principale potenza regionale.

La costruzione di un gasdotto a partire dalla Nigeria, il vertice arabo di Algeri, l'organizzazione della Coppa d'Africa, la ricetta del cuscus, la paternità della musica Raï, la maglia da calcio, il luogo di nascita della confraternita religiosa dei Tidjania: negli ultimi mesi, i due Paesi hanno colto ogni occasione per alimentare le tensioni. Queste tensioni, strumentalizzate dai leader marocchini e algerini, servono a distogliere l'attenzione dalla crisi sociale che colpisce i due Paesi.

Questo clima bellicoso mira anche a creare un divario tra i due popoli, nella prospettiva di una futura guerra. Nel 2022, i bilanci militari dei due Paesi sono stati i maggiori dell'Africa, quattro miliardi per il Marocco e quasi dieci per l'Algeria, che ha annunciato 23 miliardi di dollari per il 2023, cioè un aumento del 130%. La loro politica degli armamenti è un'affermazione di potenza e li spinge in una logica di guerra.

Questa rivalità serve innanzitutto alle borghesie dei due Paesi, ma è anche alimentata dalle manovre delle potenze imperialiste che vi trovano il loro interesse. Tutto ciò va ovviamente a discapito dei due popoli, algerino e marocchino, che si sono sempre considerati fratelli, condividendo la stessa cultura e la stessa lingua. Entrambi soffrono di una crisi senza precedenti, di una disoccupazione di massa e di una povertà crescente. I due popoli e le loro classi lavoratrici non devono cadere nella trappola nazionalista tesa da regimi sempre più autoritari. Sarà armandosi dei valori del movimento operaio, del suo internazionalismo e ponendosi sul terreno della lotta di classe, che gli oppressi di entrambi i Paesi potranno trovare la loro strada contro un sistema che oggi li schiaccia e domani potrebbe mandarli a uccidersi sul campo di battaglia.

20 febbraio 2023