Da "Lutte de classe" n°247 - Aprile 2025
I ripetuti annunci di Trump - mano tesa a Putin, minaccia di non difendere più l'Europa, desiderio di annettere Groenlandia e Canada, i dazi esorbitanti - gettano una luce cruda sulle relazioni tra le potenze che si contendono il controllo del mondo. Quella che sembra essere un'inversione di rotta della politica statunitense nella guerra in Ucraina dimostra fino a che punto le piccole nazioni sono semplici pedine e che le rivalità tra gli Stati Uniti e l'Unione Europea sono importanti quanto quelle fra loro e la Russia. A prescindere dal grado di bluff negli annunci di Trump, essi rafforzano "l'incertezza, l'imprevedibilità e l'irrazionalità del mondo", secondo le parole del governatore della Banque de France (citato in Les Echos, 17 marzo 2025). L'unica certezza è che la borghesia e i suoi servi politici intensificheranno lo sfruttamento dei lavoratori in ogni paese e faranno pagare le classi lavoratrici.
USA-Russia: un rapporto tra briganti
Il riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia e l'apertura di colloqui ufficiali tra i rappresentanti dei due Paesi possono essere stati una sorpresa per molti. Tuttavia, negli ultimi tre anni, le discussioni dietro le quinte non si sono mai fermate, e nemmeno i calcoli dei dirigenti dell'apparato statale americano sull'opportunità o meno di prolungare il conflitto russo-ucraino. Nel febbraio 2024, il direttore della CIA William J. Burns scrisse che la guerra era "un investimento relativamente modesto con significativi benefici geopolitici per gli Stati Uniti e significativi benefici per l'industria americana". E aggiungeva "fino a quando non si presenterà l'opportunità di negoziati seri". Oggi Trump e la sua squadra, che non potrebbero agire senza il consenso, per non dire assenso, delle alte sfere dell'apparato statale, sembrano pensare che i tempi siano maturi.
Le enormi distruzioni e le centinaia di migliaia di vittime ucraine e russe non hanno nulla a che vedere con questa decisione. Sul campo di battaglia, l'esercito russo sta rosicchiando il territorio ucraino, al costo di migliaia di morti su entrambi i fronti. La popolazione ucraina è sempre più ostile a questo massacro, di cui è la prima vittima, che ha creato un abisso sanguinoso tra due popoli legati da secoli di storia comune. Per i dirigenti americani questa guerra ha procurato agli Stati Uniti la maggior parte dei benefici cui potevano ambire e, a parte le "importanti ricadute" per i loro venditori di armi, ha indebolito la Russia, che era uno degli obiettivi, oltre che, in modo diverso, le potenze europee concorrenti degli Stati Uniti, a cominciare dalla Germania, privata del gas russo e la cui economia è in recessione da diversi mesi.
Per i capitalisti americani sembra arrivato il momento di regolare i conti : spingendo per la fine dei combattimenti si mira allo sfruttamento delle risorse minerarie, dei ricchi terreni agricoli e delle infrastrutture dell'Ucraina su cui hanno già messo le mani. Da parte sua, Putin ha fatto offerte di collaborazione invitando quelli che chiama ancora una volta i suoi "partner americani" a venire a sfruttare le terre rare in Russia.
Invadendo l'Ucraina, Putin ha voluto dimostrare ai Paesi della NATO che non avrebbe più accettato le loro pressioni, né il loro controllo sui Paesi nati dalla disgregazione dell'Unione Sovietica. Si è scontrato con uno Stato ucraino che per decenni, e ancor più negli ultimi tre anni, ha subito le sollecitazioni dei suoi protettori occidentali, uno Stato che ha resistito, ma a un costo umano ed economico che gli ucraini pagheranno per decenni; come Putin, del resto, che è riuscito a mantenere il suo potere imponendo molteplici sacrifici alla sua stessa popolazione.
La guerra in Ucraina è solo uno dei tanti focolai creati dalla continua lotta dell'imperialismo per la supremazia mondiale, in un periodo di profonda crisi economica. Data la durevole instabilità di molte regioni, sarebbe nell'interesse della dirigenza statunitense coinvolgere la Russia nel mantenimento dell'ordine imperialista, facendole avallare le proprie scelte. Ciò è particolarmente vero in Medio Oriente, dove la situazione è cambiata nell'ultimo anno a causa dell'esercito israeliano. È anche probabile che gli Stati Uniti stiano cercando di dissociare la Russia dalla Cina e, avvicinandosi alla prima, puntino a isolare la seconda.
Questa aperta collaborazione per far rispettare l'ordine mondiale, quello del capitalismo, non sarebbe una novità. Dal patto Laval-Stalin firmato nel 1935, i dirigenti delle potenze imperialiste da un lato e i burocrati a capo dell'Unione Sovietica, da Stalin a Breznev, dall'altro, hanno lavorato insieme per difendere questo ordine. Ognuno nella propria zona, a volte in collaborazione, hanno sedato rivoluzioni o rivolte popolari, indebolendo o facendo cadere i regimi che ai loro occhi non erano abbastanza sottomessi. I tempi sono cambiati, l'Unione Sovietica è scomparsa e Putin, che difende gli interessi dei burocrati e degli oligarchi russi, può andare d'accordo con Trump o con altri leader imperialisti ancora più facilmente dei suoi predecessori.
Europa divisa e emarginata
Il cambio di rotta americano non è quindi "un'inversione di alleanze senza precedenti" come ha detto un ex ministro. Se i dirigenti europei si sentono offesi, è perché sono stati trattati da Trump con il disprezzo che essi stessi riservano ai capi di Stato dei Paesi poveri. Se oggi s'indignano perché i briganti Trump e Putin si stanno riconciliando per spartirsi le ricchezze dell'Ucraina, se si agitano per rimanere nel gioco, se aumentano le loro spese militari, è perché temono di rimanere fuori dall'accesso a minerali preziosi, a ricchi terreni agricoli e al mercato per ricostruire un Paese distrutto. Sébastien Lecornu, ministro francese delle Forze armate, lo ha ammesso il 27 febbraio in una trasmissione: il governo francese stava negoziando da mesi con l'Ucraina per ottenere la sua parte di metalli strategici, le terre rare.
Ci vuole l'ipocrisia di questi dirigenti dei Paesi europei e il servilismo di classe dei media per fingere di scoprire che le relazioni tra loro e gli Stati Uniti non sono altro che relazioni tra potenze diseguali che si combattono in modo spietato per accaparrarsi i mercati. Cento anni fa, analizzando i rapporti di forza politici ed economici tra l'America e un'Europa frammentata e indebolita alla fine della Prima guerra mondiale, Trotsky scriveva: "Cosa vuole il capitale americano? A cosa mira? In una parola, vuole ridurre al minimo lo spazio dell'Europa capitalista, in altre parole, dettarle quante tonnellate, litri o chilogrammi di questo o quel materiale ha il diritto di comprare o vendere" (1).
Cento anni più tardi, dopo una Seconda guerra mondiale, dopo decenni di integrazione europea incompiuta e irraggiungibile, dopo la disgregazione dell'Unione Sovietica e il controllo su larga scala dei Paesi dell'Europa orientale da parte dei capitalisti occidentali, lo squilibrio di potere tra Stati Uniti ed Europa è aumentato. Le divergenze fra gli interessi degli Stati si sono addirittura incrementate, poiché la crisi economica ha esacerbato la competizione tra i capitalisti.
La debolezza congenita delle borghesie europee, che non è mai stata superata, deriva dal fatto che esse sono uscite dal feudalesimo facendo leva su mercati e poi Stati concorrenti, all'interno di contesti nazionali che molto presto sono diventati troppo ristretti. Di fronte al potente imperialismo americano, non esiste un unico imperialismo europeo, con un unico apparato statale che difende gli interessi fondamentali di un'unica grande borghesia europea. Esistono imperialismi europei in competizione tra loro, che rappresentano i capitalisti nazionali, i cui interessi economici sono talvolta comuni ma spesso opposti.
La guerra in Ucraina ha rafforzato questi antagonismi tra i Paesi europei e allo stesso tempo li ha resi meno competitivi rispetto agli Stati Uniti, se non altro a causa del forte aumento dei prezzi dell'energia in Europa. Ad esempio, secondo il Tesoro francese, dal 2022 la produzione manifatturiera è diminuita in diversi Paesi europei, in particolare in Germania (-6,7%) e in Italia (-5,7%), a causa della minore produzione nei settori chimico, farmaceutico e automobilistico (2). L'ex presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, lo ha sottolineato nel settembre 2024 in un rapporto sulla competitività europea, in cui avvertiva che l'Unione Europea stava affrontando una "sfida esistenziale" di fronte agli Stati Uniti e rischiava una "morte lenta" per mancanza di massicci investimenti in infrastrutture, ricerca e mezzi di produzione rinnovati.
Draghi ha chiesto uno "shock di investimenti" di 800 miliardi di euro in Europa e ha fatto appello agli investitori privati. Ma i capitalisti, in Europa e altrove, non hanno patria. Investono i loro capitali dove preferiscono, ovvero dove sperano di ottenere i maggiori profitti. Molto prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca e dei suoi annunci di dazi del 25%, 50% e persino del 200%, Biden aveva intensificato il protezionismo degli Stati Uniti, con risorse di gran lunga superiori a quelle dei governi europei. Il suo Inflation Reduction Act (IRA) ha versato miliardi di sussidi ai capitalisti che si sono stabiliti negli Stati Uniti. Attirati da questo guadagno e dai prezzi dell'energia i gruppi europei dell'industria chimica, automobilistica e delle batterie hanno trasferito parte della loro produzione sull'altra sponda dell'Atlantico. Il 6 marzo, proprio nel momento in cui Macron faceva appello al patriottismo di fronte all'abbandono del grande alleato americano, Rodolphe Saadé, il capo di CMA CGM, che deve il suo sviluppo e la sua fortuna alla generosità dello Stato francese, è stato invitato alla Casa Bianca per promettere a Trump 20 miliardi di dollari di investimenti negli Stati Uniti e la creazione di 10.000 posti di lavoro. E tutti ricordano il ricatto del multimiliardario Bernard Arnault, invitato all'inaugurazione di Trump, che minacciava di delocalizzare le sue aziende se il governo francese avesse aumentato le tasse. L'unica bandiera dei capitalisti è il profitto.
Nella guerra economica globale non c'è una politica europea, ma Stati nazionali europei che agiscono secondo gli interessi dei loro capitalisti, e in primo luogo di quelli che hanno più influenza su questi Stati. Così, quando il 30 ottobre l'Unione Europea ha imposto tasse aggiuntive (fino al 35%!) sui veicoli elettrici prodotti in Cina, la Germania ha votato contro per proteggere gli interessi dei suoi produttori, che esportano molto in Cina. Durante le ultime discussioni sul trattato Mercosur, la Francia si è opposta alla sua ratifica in nome della protezione dei "suoi" agricoltori, mentre la Germania la voleva per aiutare i suoi produttori a vendere auto in Brasile e Argentina. Il 27 marzo Trump ha annunciato una nuova tassa del 25% su tutti i veicoli prodotti all'estero e importati negli Stati Uniti. È probabile che questo colpisca soprattutto i produttori tedeschi, che esportano ogni anno negli Stati Uniti 450.000 veicoli di alta gamma, per un valore di 24 miliardi di dollari. C'è da scommettere che il fronte europeo contro le tasse statunitensi, voluto da Macron e Merz, si ridurrà al minimo comune denominatore tra capitalisti tedeschi e francesi.
D'altra parte, in ogni Paese, la guerra economica intensificata dall'amministrazione Trump viene usata come pretesto per imporre aumenti di produttività a tutti i lavoratori e nuovi sacrifici alle classi popolari. Questa guerra non uccide direttamente, ma ha già eliminato centinaia di migliaia di posti di lavoro e chiuso fabbriche, gettando nella desolazione città e regioni. I sussidi statali erogati per portare avanti questa guerra stanno assorbendo centinaia di miliardi di euro che mancano agli ospedali e alle scuole.
L'"economia di guerra", un jackpot per i venditori di armi
Questa guerra di classe è destinata a intensificarsi con il passaggio all'"economia di guerra" auspicato dai leader europei. Macron, che ha riacquistato un po' di ossigeno politico indossando il costume di un signore della guerra, vuole raddoppiare il bilancio militare della Francia in cinque anni, citando "la minaccia russa che colpisce tutti i Paesi europei" e sostenendo che "la pace non può essere garantita sul nostro territorio". In tutta Europa, la presunta minaccia russa e la brutalità del cambio di posizione degli Stati Uniti sull'Ucraina vengono utilizzate per giustificare l'aumento delle spese militari, preparare la popolazione ad accettare ulteriori sacrifici e a sopportare il peso di un conflitto che viene sempre più presentato come inevitabile.
In Germania, ancor prima di prestare giuramento, Friedrich Merz, il prossimo cancelliere, ha fatto modificare la legge costituzionale per togliere il "freno al debito" e permettere di spendere centinaia di miliardi di euro per l'esercito. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha autorizzato gli Stati membri a spendere fino a 800 miliardi di euro per "riarmare l'Europa".
Ma gli Stati europei non avranno più peso nelle discussioni su un'ipotetica pace in Ucraina di quanto ne abbiano avuto nel prolungare la guerra. L'invio di una "forza di garanzia" in Ucraina, come proposto da Macron e dal primo ministro britannico Starmer, è subordinato al fatto che Trump e Putin accettino un cessate il fuoco e che entrambe le parti accettino che gli europei svolgano il ruolo di forze di pace. Dietro le loro rodomontate, i leader europei sanno chi è il padrone: trattati come zerbini da Trump, rendono costantemente omaggio al "nostro alleato americano", senza il quale sono impotenti perché non hanno abbastanza satelliti, ad esempio.
Per tenere conto del possibile ritiro della protezione militare americana, i leader europei parlano di costruire l'"Europa della difesa", facendo riapparire lo spauracchio della Guerra Fredda. Ma oggi come ieri non può esistere una difesa europea, perché non esiste uno Stato europeo. Gli Stati possono intraprendere azioni militari congiunte e trovarsi uniti temporaneamente, unità che scompare non appena cambia l'equilibrio di potere alla base di questi accordi. I loro interessi e le loro priorità raramente coincidono: paesi come la Polonia e gli Stati baltici, ad esempio, ritengono fondamentale rimanere sotto la protezione degli Stati Uniti.
Le differenze emergono molto prima del campo di battaglia, con gli ordini di acquisti di armi, in cui ogni Stato protegge gli interessi dei rispettivi mercanti di morte. Dassault deve la sua fortuna al sostegno incrollabile dello Stato francese nel corso dell'ultimo secolo e, più recentemente, alla capacità dei governi francesi di acquistare i suoi aerei Rafale o di promuoverli presso i dirigenti indiani o egiziani o presso i re del petrolio del Golfo. È significativo che né la Gran Bretagna né la Germania possiedano un solo aereo Dassault, così come l'esercito francese non ha mai acquistato carri armati Leopard costruiti dall'azienda tedesca Rheinmetall.
Ancora più significativo del loro rapporto di subordinazione con gli Stati Uniti è il fatto che il 64% delle armi importate dai membri europei della Nato dall'inizio della guerra in Ucraina è stato acquistato da produttori americani come Lockheed Martin, Boeing e Northrop. Nel tentativo di ridurre questa percentuale, il piano SAFE della Commissione europea prevede che le armi acquistate con prestiti garantiti dall'UE fino a 150 miliardi di euro includano almeno il 65% di componenti prodotti in Europa. Si tratta principalmente di una trovata pubblicitaria, poiché la maggior parte delle ordinazioni di armi viene effettuata senza ricorrere a questo tipo di prestito.
Per ora, il rafforzamento della "difesa dell'Europa" e l'annuncio, già fatto nel 2022, della creazione dell'"economia di guerra" sono innanzitutto un enorme piano di stimolo economico di cui beneficerà una miriade di industriali e finanzieri. È una manna per i venditori di armi, europei e non. L'amministratore delegato della Thales, che produce sistemi radar e ha già registrato profitti record di 2,4 miliardi di euro nel 2024, prevede "un decennio di crescita e forse più" (Les Echos, 4 marzo 2025). Dopo questi annunci, i prezzi delle azioni di tutte le industrie legate agli armamenti sono saliti alle stelle.
Condizionamento e guerra di classe
L'agitazione sulla presunta minaccia russa e sulla necessità di rilanciare l'industria degli armamenti per difenderci non serve solo ad alimentare i produttori di armamenti ma anche a imporre sacrifici alla popolazione e ad aggravare lo sfruttamento dei lavoratori. "Non potremo più raccogliere i dividendi della pace"; "Dovremo rivedere le nostre priorità nazionali"; "Avremo bisogno di riforme, di scelte e di coraggio"; il messaggio di Macron, rilanciato mattina e sera dai responsabili politici, dai portavoce padronali e dal branco di giornalisti a chi danno ordini, è inequivocabile: i miliardi in più per le bombe, i droni o i Rafale saranno sottratti all'edilizia sociale, alle scuole, agli ospedali... La transizione verso un'economia di guerra giustificherà il prolungamento dell'orario di lavoro, il rinvio dell'età pensionabile, la riduzione dei giorni di ferie.
Questo clima di guerra serve a preparare la popolazione e i giovani ad accettare sacrifici e privazioni oggi, sofferenze e morte in trincea domani. Perché nella guerra è insito l'aggravarsi delle contraddizioni di un'economia capitalista senile e l'intensificarsi delle rivalità tra i capitalisti e le potenze che difendono i loro interessi: controllare le materie prime, conquistare i mercati, indebolire o affondare i concorrenti. La guerra infuria in Medio Oriente. Insanguina i Paesi africani, a partire dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Sudan. Chi oserebbe scommettere che la rivalità tra Stati Uniti e Cina non si trasformerà, prima o poi, in guerra aperta? E come evolverà la guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa? Cosa succederà se gli Stati Uniti annetteranno la Groenlandia alla Danimarca? È impossibile prevedere quale confronto potrebbe sfociare in un conflitto militare generalizzato. Queste guerre imperialiste per il dominio del mondo non saranno le guerre dei lavoratori. Al contrario, serviranno a difendere e rafforzare gli interessi di coloro che li sfruttano.
Anche prima della guerra tutti i partiti che si contendono il diritto di servire gli interessi della borghesia avevano formato un'unione nazionale. Anche coloro che vogliono distinguersi da Macron si mettono sull'attenti davanti ai capi dell'esercito. Il partito di Mélenchon LFI (La France Insoumise) ha accolto con favore il non allineamento dietro gli Stati Uniti; il PCF chiede un'industria militare e un esercito esclusivamente francesi; mentre gli ecologisti e i socialisti invocano la difesa dei "valori umanistici e democratici europei" per indossare l'elmetto militare. Quanto ai dirigenti del Rassemblement National (RN) d'estrema destra, mentre invocano la pace in Ucraina e rifiutano una difesa europea, plaudono all'aumento delle spese militari per "rafforzare la sovranità nazionale". Da parte loro, anche i dirigenti sindacali si sono schierati a favore della necessità di un'economia di guerra. Per Marylise Léon della CFDT, "il contesto internazionale è preoccupante. Non siamo entrati in guerra, ma è un richiamo alla responsabilità". Sophie Binet della CGT non perde occasione per difendere la sovranità nazionale dicendo: "Non si può parlare di economia di guerra dalla mattina alla sera e lasciare che la nostra industria muoia".
Tutti coloro, dirigenti sindacali o di partito, che hanno sulla bocca solo la "sovranità nazionale" nascondono il fatto che in questa nazione ci sono sfruttatori e sfruttati, capitalisti il cui patriottismo consiste nel disporre dei mezzi dello Stato per aumentare i loro profitti e lavoratori che producono tutto e fanno funzionare l'intera società. Per due volte nel XX secolo, durante le guerre mondiali, i secondi sono stati mandati a morire sui campi di battaglia per garantire i profitti. I capitalisti e i loro servi politici non si faranno scrupoli a farlo di nuovo, e vi si stanno attivamente preparando.
L'opposizione al sanguinoso futuro che il capitalismo sta organizzando inizia con il rifiuto di schierarsi dietro i dirigenti del paese e la bandiera nazionale, denunciando il fatto che scuole e ospedali vengono sacrificati per finanziare bombe e cannoni, chiedendo la requisizione dei profitti dei trafficanti di armi. Ma non ci sarà pace finché i lavoratori non rovesceranno la dittatura dei capitalisti.
31 marzo 2025
1 - "Sulle prospettive dello sviluppo mondiale", discorso tenuto da Lev Trotsky il 28 luglio 1924.
2 - Marion Bachelet e Léocadie Darpas, "Flash Conjoncture Pays avancés -Une baisse marquée de la production industrielle en Allemagne et en Italie depuis 2023", sul sito della Direction générale du Trésor, 21 gennaio 2025.