I voltafaccia del partito della Rifondazione Comunista

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Da "Lutte de Classe" n°30 (Italia - I voltafaccia del partito della Rifondazione Comunista)
Novembre 1997

Il 16 ottobre, il Partito della Rifondazione Comunista è tornato a votare la fiducia a Romano Prodi. Questi, presidente del consiglio in carica sin dalla vittoria dell'Ulivo nel 1996, viene quindi riconfermato come se niente fosse. I voti di Rifonda zione Comunista sono venuti a mancare solo per qualche giorno. I dirigenti del partito, dopo di avere provocato la crisi di governo col proclamare che non avrebbero votato la Finanziaria, si sono rapidamente ricreduti e Prodi ha potuto ottenere il loro sostegno al prezzo di solo alcune promesse generiche.

Così il PRC è passato in qualche giorno dal sostegno a Prodi e alla sua politica d'austerità ad un'opposizione decisa solo a parole, prima che i suoi dirigenti, spaventati dalla propria audacia, tornino nella maggioranza. Strana oscillazione che assomiglia a tutto, tranne ad una politica chiara, e può solo disorientare ancora di più i suoi propri militanti e la classe operaia italiana stessa.

Rifondazione Comunista, cauzione di sinistra del governo Prodi

Rifondazione Comunista è nata dalla scissione del Partito comunista italiano nel febbraio 1991, quando sotto la direzione d'Achille Occhetto la sua maggioranza ha deciso di abbandonare l'etichetta comunista per chiamarsi semplicemente "partito democratico della sinistra". I dirigenti del vecchio PC volevano proclamare che la sua socialdemocratizzazione -cominciata in realtà ben prima- ormai era portata a termine.

Eppure una frazione della base del partito era decisa a rivendicare ancora il comunismo, e una parte dell'apparato, poggiando su tale sentimento, ha rifiutato di aderire al PDS e organizzato la scissione e la creazione del Partito della Rifondazione Comunista.

La scissione del vecchio PC italiano si è quindi operata a sinistra, o comunque sulla base del rifiuto di andare più a destra ancora. In qualche modo, Rifondazione Comunista è nata così con un'immagine di sinistra, l'immagine di un partito che rivendicava senza reticenza le idee comuniste e di lotta di classe. Inoltre il fatto di avere attratto numerosi militanti dell'estrema- sinistra, venuti tra l'altro da Democrazia Proletaria e dalla sezione italiana del Segretariato Unificato della Quarta Internazionale, ha anche contribuito a dare tale immagine. Ma i dirigenti del partito hanno rapidamente sciolto gli equivoci.

Infatti Rifondazione Comunista fu rapidamente di fronte alla questione delle sue alleanze et dell'atteggiamento da assumere nei confronti di un eventuale governo di sinistra, tanto più che la modifica del sistema elettorale proporzionale a favore di modalità di voto prevalentemente maggioritarie esercitava una pressione per tali alleanze, nello stesso modo del sistema elettorale maggioritario a doppio turno francese. Raccogliendo tra il 5 e il 10% dei voti a seconda delle elezioni, messo a confronto con un PDS che in linea di massima ne raccoglie più del 20% e lo ricatta per l'elezione di buona parte dei suoi deputati e eletti di tutti i livelli, Rifondazione Comunista si è rapidamente dichiarata favorevole agli accordi con il PDS et al sostegno ad un governo di sinistra se l'occasione si presentasse.

Questo si è prodotto sin dalle elezioni dell'aprile 1996 che hanno portato Romano Prodi al governo. Questi, democristiano e ex dirigente dell'IRI, era solo una polena per la coalizione dell'Ulivo, costituita dai Verdi, dai democristiani ormai Partito Popolare, da frammenti del Partito Socialista, e la cui forza principale è il PDS. Sebbene Rifondazione Comunista non abbia aderito all'Ulivo e si sia candidata con il proprio programma, il patto di desistenza sottoscritto con l'Ulivo ha consentito alla sinistra di conquistare la maggioranza in parlamento anche nell'assenza di una reale spinta a sinistra nell'elettorato. E poiché l'Ulivo da solo non è maggioritario in parlamento, il sostegno di Rifondazione Comunista è indispensabile alla sopravvivenza del governo Prodi.

Già da un anno e mezzo si sta assistendo a questa politica di sostegno senza partecipazione al governo, un sostegno che chiaramente non è senza problemi per Rifondazione Comunista nei confronti della base operaia e popolare del proprio elettorato. La politica di Prodi è infatti una politica d'austerità del tutto analoga alla politica degli altri governi europei, di destra o di sinistra che siano. In nome dell'entrata dell'Italia nella moneta unica, Prodi ha imposto contributi straordinari, tagli della spesa pubblica, misure di deregolamentazione a favore del padronato. La cauzione dei partiti di sinistra, la buona volontà dei dirigenti sindacali nei suoi confronti, hanno inoltre assicurato al governo Prodi una pace sociale senza precedenti. Tutto questo vale oggi all'Italia brevetti di buona gestione rilasciati dai suoi colleghi europei, o addirittura delle lodi per le qualità di "gran statista" del suo presidente del Consiglio.

I mercanteggiamenti di Bertinotti

Ma alle classi popolari che subiscono le conseguenze di questa politica, è più difficile fare discorsi sulla "buona gestione" di Prodi. R fondaz one Comunista, per giustificare il suo sostegno, invoca dunque la necessità di salvaguardare l'unità della sinistra per non facilitare il lavoro della destra, di partecipare alla maggioranza di governo per fare pressione nella buona direzione, e così via. Mais i suoi dirigenti ricorrono anche regolarmente a delle sceneggiate con l'obbiettivo di dimostrare che il loro sostegno non è incondizionato.

Così è stato per esempio nell'estate del 1996 durante la discussione della politica economica del governo, e in altre occasioni. Nella primavera del 1997, si è anche visto Rifondazione rifiutare di votare la decisione d'inviare l'esercito italiano in Albania, non senza la garanzia però che la decisione sarebbe stata votata grazie all'aiuto dei voti della destra, e quindi che non metteva il governo in difficoltà.

Nel merito, Rifondazione Comunista in questo modo giustifica la sua partecipazione alla maggioranza di governo con il fatto di potere mercanteggiare i suoi voti il più caro possibile, e così essere per i ceti popolari un difensore efficace dei loro interessi. Vecchio sindacalista e abituato delle negoziazioni con il padronato, il segretario generale di Rifondazione Fausto Bertinotti ha per tale compito un talento sicuro, che mette a profitto per dare credibilità al suo personaggio, quello di un avvocato delle classi popolari in questi mercanteggiamenti con il governo.

Una parte della classe operaia accetta probabilmente questi argomenti, almeno per il momento, col pensare che Bertinotti fa il suo possibile e che non esiste altra scelta che di fidarsi di lui per difendere i lavoratori e attenuare un po' l'effetto delle decisioni prese contro di loro. Ma il risultato è comunque di smobilitarli perché in nessun momento i dirigenti di Rifondazione propongono di appoggiare la loro politica di contrattazione al vertice con i mezzi della lotta di classe alla base, nelle aziende e le piazze. "Appoggiateci, faremo il resto", questa potrebbe essere la divisa dei dirigenti di Rifondazione.

Ma c'è anche peggio : Bertinotti in realtà non ostacola niente. La politica d'austerità del governo Prodi va avanti, colpendo duramente le classi popolari. E un'altra frazione di questi, man mano che si può constatare che dalla politica di questo sedicente governo di sinistra risulta solo un degradamento della loro situazione, volta le spalle ai partiti di sinistra, al PDS certamente ma anche a Rifondazione. Perché le acrobazie di Bertinotti, l'equilibrio permanente che cerca di mantenere tra il sostegno al governo e una parvenza di opposizione, sembrano a molti un gioco oscuro, i cui obiettivi non sono visibili e comunque non cambiano niente al risultato. E i demagoghi non mancano per sfruttare tal malcontento popolare in un senso reazionario. La Lega Nord di Bossi, Alleanza Nazionale, Berlusconi, sembrano sicuri che, a termine, la politica di questo governo appoggiato dai partiti di sinistra non può fare altro che ricacciare verso destra una parte dell'elettorato.

Rifondazione intrappolata dalla propria diplomazia segreta

Ma il gioco di Rifondazione ha forse toccato i suoi limiti in questa crisi dell'ottobre. Questa crisi è cominciata quando il governo ha dato notizia del progetto di Finanziaria per 1998, senza discussione con il partito di Bertinotti. Questi allora ha fatto sapere che non avrebbe votato questa Finanziaria, opponendosi tra l'altro al progetto di attuare un taglio di 5000 miliardi di lire a danno delle pensioni e della sanità. Ma Prodi poteva facilmente rispondere che, nel merito, questa Finanziaria non era altro che la continuazione di decisioni già approvate da Rifondazione nei mesi precedenti. E anche prima di negoziare i voti di Rifondazione, Prodi si è voltato verso le confederazioni sindacali per discutere con loro il contenuto della Finanziaria.

L'avallo dato a Prodi dalle confederazioni, CGIL inclusa -sotto controllo maggioritario del PDS- non è stato una sorpresa, ma rafforzava chiaramente Prodi. Ciò malgrado, Bertinotti continuava di proclamare che questa Finanziaria andava rifatta e che non l'avrebbe votata. Anche dopo parecchie ore di discussioni a porte chiuse con il governo, dichiarava il 6 ottobre che le proposte di Prodi rimanevano "inadeguate". Il 9 ottobre, ribadito il rifiuto di Rifondazione di votare la Finanziaria, Prodi annunciava le dimissioni del suo governo.

I dirigenti di Rifondazione avevano davvero voluto questa crisi, ed avevano veramente misurato le conseguenze di tale atteggiamento ? Si può avere qualche dubbio quando si vede il dietrofront intervenuto in meno di 48 ore. In realtà, più che tra Rifondazione e Prodi, la partita si giocava tra Rifondazione e PDS, il quale andava proclamando che, in caso di crisi, nessun altro accordo sarebbe possibile, che si dovrebbe andare alle elezioni anticipate, le quali potrebbero portare ad un ritorno della destra, ritorno di cui Rifondazione avrebbe portato la responsabilità politica in quanto avrebbe rotto l'unità della sinistra. Tutta la stampa, da parte sua, faceva campagna contro Bertinotti, l'"irresponsabile" il cui atteggiamento minacciava di precipitare di nuovo l'Italia nel vortice della crisi politica, e perfino di rendere impossibile la sua entrata nella moneta unica, proprio nel momento in cui questa entrata ormai appariva sicura.

In seno alla direzione di Rifondazione, una voce si era fatta sentire per opporsi alla decisione di aprire la crisi di governo : quella della senatrice Ersilia Salvato. All'opposto, la minoranza bacciardiana e trotskista spingeva per una rottura più chiara. Ma innanzitutto, una parte della base di Rifondazione pareva colta di sorpresa da questa crisi, alla quale fino all'ultimo nessuno credeva. In alcune fabbriche, dei militanti di Rifondazione accettavano anche di firmare con altri del PDS delle petizioni per chiedere "l'intesa a sinistra". Mirate di più contro Bertinotti che contro il PDS e D'Alema, chiedevano alla direzione di Rifondazione di non fare naufragare il primo governo di sinistra della storia d'Italia.

Chiaramente, si tratta probabilmente solo di pochi casi, messi in evidenza dalla stampa. Ma comunque i dirigenti di Rifondazione non avevano fatto nulla per preparare il loro partito ad assumere una rottura con il governo. E non avevano fatto niente neanche, nelle fabbriche e nella classe operaia in generale, per spiegare le ragioni e gli obiettivi che difendevano. Certamente, questo non è casuale : Bertinotti, pur proclamando che non avrebbe votato la Finanziaria e tra l'altro che "le pensioni non si toccano", non voleva vincolarsi per il futuro. Voleva lasciare aperte tutte le possibilità per un accordo.

Per Bertinotti, si trattava di dimostrare al governo Prodi e al PDS che si doveva contare con Rifondazione, ben più che di cercare ad imporre un reale passo indietro di fronte alle rivendicazioni operaie. La vera posta in gioco nella prova di forza tra Rifondazione e il governo era tutt'altra : Rifondazione voleva un riconoscimento del suo posto nella maggioranza, forse la promessa di posti di ministri nel futuro, e anche probabilmente la garanzia che la futura legge elettorale in discussione alla bicamerale non le sarebbe stata troppo sfavorevole. La politica dei dirigenti di Rifondazione nei confronti del governo era fatta di diplomazia segreta e questo aveva un prezzo : alle masse, alla classe operaia e ai militanti del partito stesso, tutto questo appariva solo come una vertenza al vertice, i cui risultati non li riguardavano.

Certamente Prodi sapeva che con le sue dimissioni stava ponendo Bertinotti e la direzione di Rifondazione di fronte ad una situazione che non erano preparati ad assumere. E infatti, già l'11 ottobre, il presidente del partito Cossutta dava notizia che era pronto ad un accordo, il quale fu raggiunto in meno di tre giorni : innanzitutto Rifondazione s'impegnava a sostenere il governo almeno fino alla fine del 1998, e forse oltre. Per il momento, accettava la stessa Finanziaria dichiarata inaccettabile qualche giorno prima dai suoi dirigenti, in cambio dell'impegno di Prodi ad introdurre una legge sulle 35 ore... nel 2001. Probabilmente era, questo, il "segno di cambiamento" che "Liberazione" del 7 ottobre chiedeva al governo Prodi... ma un segno ben insufficiente per giustificare che le cose "inadeguate" di qualche giorno prima fossero di colpo diventate accettabili.

Per spiegare tale improvviso dietrofront dei dirigenti di Rifondazione, una parte della stampa ha evocato le possibili divergenze tra Bertinotti e Cossutta. Ma non c'è bisogno di questo tipo di supposizione. Ciò che si è rivelato nel corso di questa crisi, è il fatto che Rifondazione è l'ostaggio del governo e del PDS, assai più che non riesce a condizionarli ; le sue minacce di rottura per aumentare il prezzo dell'accordo sono un bluff perché in realtà, essa stessa ritiene che perderebbe di più ad uscire dalla maggioranza di governo che a stare dentro. Ma questo significa che in realtà sono i prigionieri della loro propria politica.

Infatti, per rompere con il governo ed assumere tale scelta di fronte ai lavoratori, occorrebbe essere capace di aprire un'altra strada, di avere un'altra politica. Ma Rifondazione in realtà non ha niente altro da proporre che questa politica elettoralistica che non apre ai lavoratori altra via d'uscita che l'attesa illusoria di un governo che farebbe una "vera" politica di sinistra, ciò che il governo Prodi non farebbe. Ma cosa sarebbe una vera politica di sinistra secondo Bertinotti, possiamo averne un'idea quando lo si vede fare l'esempio... del governo Jospin in Francia ! Alle domande sull'eventuale entrata di ministri comunisti nel governo italiano alla maniera di ciò che è successo in Francia, Bertinotti risponde addirittura che lui sarebbe d'accordo... se Prodi facesse la stessa politica di Jospin. Ma che differenza c'è tra la politica antioperaia di Prodi e quella analoga di Jospin ?

Un illusionismo che tocca i suoi limiti

La direzione di Rifondazione ha un bel fare, a far finta ogni tanto di opporsi al governo e ai suoi provvedimenti antioperai tramite il parlamento o per il verso delle interviste di Bertinotti in televisione : è la sua politica nel suo complesso che smobilita la classe operaia, a cominciare dai suoi propri militanti. Non c'è da stupirsi se una parte della sua propria base non capisce più, ne i voltafaccia di Bertinotti, ne la politica che si porta avanti, e neanche cosa i dirigenti aspettano dai militanti.

Nel corso di questa crisi lampo dell'inizio d'ottobre, forse Bertinotti e Rifondazione hanno toccato i limiti di questa politica che consiste nel sostenere il governo, pur cercando di mantenere un immagine da oppositori, o comunque da alleati scomodi. Coll'aderire di nuovo al governo Prodi, hanno riconosciuto che la loro opposizione era un bluff. Nel futuro, i loro impeti di opposizione saranno presi sempre meno sul serio, alla base del partito e nella classe operaia. Il loro tentativo di conservare l'immagine di un partito d'opposizione e quindi di non subire le conseguenze dell'impopolarità del governo, potrebbe risultare sempre più difficile. L'illusionista Bertinotti potrebbe fare sempre più difficilmente illusione.

Spetta ai militanti che, in seno alla classe operaia, conservano la loro fiducia nella lotta di classe, difendere questa prospettiva e dimostrare che non ha niente di comune con le sceneggiate della squadra Bertinotti-Cossutta. Si tratta di indicare chiaramente ai lavoratori il nemico da combattere, padroni e governo, di definire gli obiettivi e le rivendicazioni operaie, di dire apertamente che per imporre le loro esigenze i lavoratori possono solo fidarsi della loro propria forza : la forza che hanno quando si mobilitano come classe, nelle fabbriche e nelle piazze, senza fidarsi di nessun illusionista parlamentare.

E se c'è una "rifondazione" da compiere, è quella di un partito di classe, che sia in grado di raggruppare le forze migliori degli oppressi e organizzarli per la lotta : quella di un vero partito comunista proletario, che sappia ritrovare le migliori tradizioni del movimento operaio, invece di calpestarle l'una dopo l'altra con pratiche da politicanti mediocri.