Situazione interna

Εκτύπωση
Da "Lutte de classe" n° 69 (Il 32° congresso di Lutte Ouvrière)
9 dicembre 2002

L'anno appena scorso è stato segnato dal punto di vista politico dall'elezione presidenziale, l'eliminazione di Jospin sin dal primo turno, la trasformazione del secondo turno in un plebiscito a favore di Chirac, immediatamente seguito dall'elezione all'Assemblea nazionale di una schiacciante maggioranza di destra.

I partiti della sinistra plurale che hanno per anni partecipato al governo Jospin, per lo più durante i cinque anni della sua esistenza, hanno tutti provato il bisogno di presentare candidati al primo turno. Tutti, nella presidenziale, erano preoccupati innanzi tutto di verificare i rispettivi rapporti di forza elettorali in modo da ottenere dal Partito socialista una ripartizione equa dei collegi per le legislative. Sicuri, a quanto pare, della vittoria di Jospin, non hanno misurato il rischio che la loro candidatura poteva rappresentare per la sua elezione.

Era una scelta irresponsabile dal punto di vista dei loro propri interessi. Anche solo i voti che si sono portati sulla candidata dei Radicali di sinistra, un partito che durante tutta la Va Repubblica si era presentato una sola volta all'elezione presidenziale, sarebbero stati sufficienti perché Jospin passasse davanti a Le Pen, invece di arrivargli dietro.

Questa dispersione ha trasformato in una sconfitta spettacolare il riflusso elettorale della sinistra, ma c'era comunque anche un riflusso reale. Jospin ha perso due milioni e mezzo di voti e Robert Hue un milione e mezzo. L'uno e l'altro hanno pagato per i cinque anni d'esercizio di un governo che poteva solo deludere l'elettorato di sinistra, tanto è vero che si è messo cinicamente al servizio degli interessi del gran padronato a scapito delle classi popolari.

Non c'è neanche paradosso nel fatto che il Partito Comunista, che fu solo un accessorio della politica del governo, abbia pagato ancora di più del Partito Socialista. Era compito suo difendere e giustificare la politica del governo tra i lavoratori, che ne sono stati le principali vittime. Con solo il 3,37% dei voti, l'influenza elettorale del Partito Comunista è crollata al di sotto dei peggiori risultati della sua storia.

Tra i partiti della sinistra plurale, solo i Verdi hanno avuto un risultato un po' migliore di quello della presidenziale del 1995. Ma siccome la loro rappresentazione parlamentare dipendeva dal Partito socialista, il riflusso di questo ha fatto sparire la speranza dei Verdi di costituire un gruppo all'Assemblea, dove la loro presenza è stata ridotta al minimo.

Invece la strumentalizzazione dell'opinione pubblica operata dai dirigenti della sinistra plurale per evitare di dovere discutere delle vere ragioni della sconfitta, con la complicità dei mass media e di tutti quelli che nel paese possono influenzare l'opinione, ha segnato il secondo turno ancora più del primo ed ha avuto conseguenze politiche di cui adesso stiamo pagando il prezzo.

La presenza di Le Pen al secondo turno dell'elezione presidenziale era un fatto tale da colpire l'opinione pubblica. Ma, benché inaspettato, questo fatto non risultava da una progressione notevole dei voti d'estrema destra. Se è vero che il numero dei voti ottenuti da Le Pen pone effettivamente un problema politico, tanto più che una parte di questi voti provengono dai ceti popolari, l'influenza elettorale dell'estrema destra nel 2002 rimane simile a quella del 1995, sebbene nessuno all'epoca abbia imaginato di parlare di "Le Pen alle porte del potere".

I dirigenti del Partito Socialista, come quelli del Partito comunista, come tutti quelli, fino alla LCR, che sono confluiti nel movimento, sapevano perfettamente che il candidato Le Pen era presente al secondo turno solo per causa del crollo del candidato Jospin, e quindi non aveva nessuna possibilità di vincere. Tutti sapevano che Le Pen sarebbe stato sconfitto di gran lunga con i soli voti degli elettori della destra parlamentare, e Chirac eletto facilmente e con una maggioranza più che confortevole. Però i partiti della sinistra plurale avevano interesse a dare allo loro pietosa sconfitta del primo turno l'apparenza di una supposta battaglia antifascista al secondo. Hanno quindi finito questi cinque anni di governo con un vergognoso sostegno dato a Chirac che, grazie a loro, poté essere plebiscitato con l'82% dei voti. Eppure al primo turno Chirac aveva raccolto ancora meno voti che nel 1995, sebbene all'epoca i voti del suo partito fossero divisi tra lui e Balladur. Quindi il discredito della sinistra dopo cinque anni di governo non avrebbe giovato alla destra parlamentare, se la sinistra non si fosse poi schierata politicamente dietro a Chirac.

Dopo quest'ultimo avvilimento, la sconfitta nelle elezioni legislative era tanto più logica in quanto, fosse solo per cercare di limitare i danni, i dirigenti del Partito socialista non hanno neanche provato a prendere il minimo impegno concreto nel loro programma. Responsabili davanti alla borghesia anche nella sconfitta, i dirigenti del Partito Socialista non hanno voluto dire o promettere niente che potesse mobilitare le classi popolari e dare loro qualche ragione di votare per la sinistra invece di disinteressarsi di queste elezioni.

Il risultato di Arlette Laguiller alla presidenziale è stato paragonabile a quello del 1995, pur con un leggero aumento, tanto per il numero dei voti che in percentuale.

La stampa, di cui si sa come è disposta nei nostri confronti, ha interpretato il risultato di Arlette Laguiller (5,72%) come una sconfitta rispetto a quello di Olivier Besancenot, presentato come una sorpresa. Comunque non era proprio una sorpresa per noi. Avevamo già notato, nei nostri commenti delle comunali del 2001, l'esistenza di un elettorato della LCR paragonabile al nostro.

Se questo elettorato non ha potuto esprimersi da molto tempo in un'elezione presidenziale, è perché la LCR aveva scelto di non presentarsi o di sostenere altri candidati come Juquin o, in modo indifferenziato, il Partito Comunista, i Verdi o noi.

Il fatto che il totale dei voti dei tre candidati etichettati come estrema sinistra abbia superato il 10% ha alimentato commenti di ogni genere sull'idea che l'estrema sinistra potesse essere una forza politica capace di incidere sugli avvenimenti, purché sapesse unirsi. Questo tipo di commento non è venuto solo dai giornalisti, che sono soliti precipitarsi sulle false evidenze, ma anche da vari consiglieri sia all'interno che all'esterno dell'estrema sinistra stessa. Ma è un errore credere che con la presentazione di una candidatura unitaria i voti possano aggiungersi automaticamente.

Ma, oltre il fatto che le legislative hanno evidenziato rapidamente i limiti dell'influenza dell'estrema sinistra nel campo elettorale, comunque l'influenza elettorale stessa non può sostituire la forza militante. Anche se si aggiungono le forze militanti di LO e LCR, e perfino del PT, l'estrema sinistra rimane ben lungi dall'assicurare una presenza reale dappertutto nel paese, nelle imprese e nei quartieri popolari.

E non c'è solo la questione delle forze, c'è anche quella dell'orientamento politico. Durante la campagna elettorale stessa e nonostante una certa somiglianza dei discorsi, Arlette Laguiller e Olivier Besancenot hanno incarnato orientamenti politici diversi.

Tra l'altro, l'elettorato dell'estrema sinistra, popolare e intellettuale, non ha sbagliato. Giacché poteva scegliere, si è diviso tra i candidati. Molti che hanno votato Olivier Besancenot non avrebbero votato Arlette Laguiller, e senz'altro la reciproca è vera.

Ma è proprio tra i due turni che la differenza si è veramente affermata. LO ha rifiutato di dare una legittimazione alla campagna di menzogne del Partito Socialista. La LCR ha scelto, per non rompere i ponti con gli ambienti influenzati dal Partito Socialista, di allinearsi alla scelta di quest'ultimo e di chiamare, pur ipocritamente, a votare per Chirac. Più grave ancora, ha scelto di partecipare alla campagna di menzogne del Partito Socialista dipingendo la situazione come se Le Pen fosse stato "alle porte del potere" e chiamando a "sbarrare la strada a Le Pen, in piazza e nelle urne". Il fatto che la LCR abbia aggiunto "in piazza" cambia tanto meno questo abbandono politico in quanto "la piazza" a quel momento, era l'ambiente della sinistra riformista, e le manifestazioni avevano l'obiettivo esplicito di sostenere Chirac ed erano presentate come "manifestazioni civili" della gioventù mentre ricordavano spesso quelle del "mondiale" di calcio nel 1998.

Ovviamente le posizioni portate avanti in una campagna elettorale sono solo un rifletto parziale degli orientamenti politici di fondo. Ma, appunto, le divergenze d'atteggiamento tra LO e LCR durante la campagna riflettono due orientamenti diversi. LO si colloca nella prospettiva di ricostruire in questo paese un vero partito operaio rivoluzionario, un nuovo partito comunista. La LCR si colloca nella prospettiva di una ricomposizione a sinistra della sinistra ufficiale discreditata. Queste due prospettive non solo sono diverse, sono contraddittorie.

Così, il Partito Socialista e i suoi compari al governo hanno doppiamente preparato il terreno per il ritorno al governo di uomini di destra che fanno apertamente una politica di destra. L'hanno preparato in sostanza col fare loro stessi, durante cinque anni, una politica di destra. Molti provvedimenti reazionari o favorevoli alla borghesia decisi dal governo Chirac-Raffarin sono stati preparati nei ministeri ai tempi in cui questi erano ancora diretti da membri del Partito Socialista e, in via accessoria, del Partito Comunista.

Per di più, il plebiscito di Chirac e la schiacciante maggioranza di destra sorta dalle legislative hanno preparato le condizioni politiche che lasciano al governo le mani completamente libere, almeno fin tanto che non ci sarà resistenza da parte delle classi popolari.

Il governo quindi non teme di essere intralciato nel campo parlamentare da un'opposizione di sinistra ridotta all'impotenza. Però non è impossibile che abbia qualche difficoltà con la propria maggioranza.

Se l'UMP, l'Unione per la Maggioranza Presidenziale che ha raggruppato i vari partiti di destra all'indomani della presidenziale -diventata poi l'Unione per il Movimento Popolare-, gode di una larga maggioranza, rimane nondimeno una coalizione eterogenea di gruppi, di clan e di clientele. Il suo unico cemento fu il plebiscito di Chirac che prometteva una facile elezione ai candidati che ci facevano riferimento. La maggioranza attuale forse non resisterà alle rivalità per l'elezione presidenziale del 2007, che molti dirigenti di destra, compreso attuali ministri, stanno già preparando.

Il Partito Socialista, da parte sua, dispone teoricamente di cinque anni per rifarsi una verginità politica.

Fino a questa parte, ha evitato di dividersi troppo in pubblico tra i vari postulanti all'eredità di Jospin e i loro clan politici. Ma questo non significa che questi clan non esistano. Al di là di ciò che saranno i vari correnti che potrebbero apparire al prossimo congresso previsto nel marzo 2003, il Partito Socialista all'opposizione si divide per il momento tra i rappresentanti della doppia faccia che cerca di fare apparire.

Da un lato, ci sono i Fabius e Strauss-Kahn che, anche all'opposizione, non hanno cambiato niente al discorso responsabile rispetto alla borghesia che facevano quando erano ministri. Incarnano l'immagine che il Partito Socialista vuole comunque offrire al gran padronato di un partito che farà la politica che la borghesia gli chiederà di fare, senza neanche una parola fuori luogo, anche se questo deve ritardare un ritorno al governo che, comunque, è più che ipotetico.

Dall'altro c'è la cosiddetta corrente di sinistra, rappresentata dalla coalizione pomposamente chiamata "un mondo nuovo", sotto direzione di Emmanuelli e Mélenchon, ai quali si può aggiungere Julien Dray che, pur in competizione con questi, cerca di occupare lo stesso spazio. Questi sono la faccia del Partito Socialista volta verso l'elettorato popolare. Forse faranno un discorso più sinistro - abbiamo visto Mélenchon sfilare accanto ai lavoratori della EDF-GDF. Si può scommettere che faranno di tutto per apparire come completamente integrati alla corrente incarnata da Attac e che plaudiranno ai Seattle o altri Genova futuri, alle manifestazioni antiglobalizzazione durante le prossime riunioni degli organismi finanziari internazionali (Banca mondiale, Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), ecc).

Ma bisogna davvero ricordare che i due capifila del "mondo nuovo" sono ex ministri e che, casomai la sinistra avesse di nuovo la maggioranza elettorale, questi governerebbero assieme con Fabius, Strauss-Kahn e gli altri ? E comunque, anche all'opposizione, il loro radicalismo si limita a qualche parola generica in grado di piacere ad una certa sinistra senza portare avanti il minimo impegno concreto in cui i lavoratori potrebbero ritrovarsi.

Rimane, dal lato socialista, il ruolo che Lionel Jospin potrebbe svolgere eventualmente. Per il momento, tace e lascia parlare la sua sposa al suo posto. La sua ritirata e la sua reticenza a votare per Chirac, portata a conoscenza del pubblico, lo mettono in posizione di riserva. Prima, rispetto al suo proprio partito, qualora le rivalità personali prendessero un'importanza troppo grave, necessitando una specie di arbitraggio. E dopo, chi sa ? Ma, qualunque siano le ambizioni e gli intenti segreti di Jospin, il suo ritorno ad un ruolo politicamente significativo necessiterebbe una certa situazione. Ma forse crede di essere De Gaulle o la sua copia Mitterrand ?

In quanto ai dirigenti del PCF, hanno cinque anni per riattaccare i pezzi del loro partito e del loro elettorato. Sebbene rimanga al PCF un numero notevole di militanti e simpatizzanti, senza paragone con quello di cui dispone l'estrema sinistra, non è sicuro che ci riuscirà.

Difatti la sua direzione non ha nessuna altra prospettiva da proporre che governare di nuovo col Partito socialista, cioè precisamente ciò che ha appena portato ad una così pietosa sconfitta. E quelli che si riconoscono in questa prospettiva continueranno a votare per il Partito Socialista e non per il suo ipotetico accolito. Peraltro è quello che succede da trenta anni, dall'epoca della firma del "Programma Comune" nel 1972. E' anche difficile sapere quando il Partito Comunista perde di più la sua influenza elettorale : quando ha dei ministri al governo o quando non ne ha ?

Comunque, molti militanti, pur facendo riferimento al PCF, si riconoscono di più nella CGT che nel Partito Comunista. Non è che la politica della CGT sia diversa, ma sembra almeno riprendere al proprio conto alcune delle rivendicazioni elementari dei lavoratori.

Non vogliamo elencare qui tutte le misure antioperaie favorevoli al padronato o apertamente reazionarie decise dal governo Chirac-Raffarin durante i sei mesi della sua esistenza. Le abbiamo rilevate e ampiamente commentate nella nostra stampa, Lutte Ouvrière, Lutte de Classe, e la nostra stampa d'impresa.

Non è neanche il caso di citare qui tutti gli attacchi contro i servizi pubblici, né le conseguenze catastrofiche di questi attacchi, tra l'altro contro la Sanità o contro la Pubblica Istruzione, per le condizioni d'esistenza delle classi popolari. Aggiungiamo soltanto che, dietro il progetto di decentralizzazione a prima vista così innocente, c'è l'abdicazione da parte dello Stato di alcune delle sue responsabilità in materia di servizi pubblici a favore delle regioni o di altre enti locali. Si può scommettere che una parte dei fondi pubblici destinati ai servizi pubblici sparirà nel corso di questi "trasferimenti di competenze", nonché si stabiliranno differenze che potranno solo accentuarsi col passare del tempo, tra regioni ricche e regioni povere, così come ce n'erano già tra città borghesi e città operaie.

Questi attacchi contro la classe operaia provenienti dal governo si aggiungono agli attacchi provenienti dal padronato stesso. Non potranno che aggravarsi nel contesto attuale di crisi borsistica, di caduta delle azioni, come già lo dimostra la ripresa dei licenziamenti collettivi.

Avremmo potuto fare l'ipotesi che, adesso che i partiti di sinistra non sono più al potere di governo, le confederazioni sindacali sarebbero diventate più attive per opporsi a questi attacchi. Difatti, non è così.

Le confederazioni non cercano di proporre alla classe operaia un piano d'azione, una strategia di rimobilitazione, e di più fanno come se volessero dividere un movimento che non è ancora nato. Le manifestazioni e giornate d'azione vengono proposte categoria per categoria (Ratp - trasporti parigini-, poi EDF-GDF - elettricità e gas-, poi ferrovie, senza neanche parlare del settore privato), nonché ognuna viene presentata come un evento puntuale senza che sia previsto un seguito.

E' per questo, in gran parte, che la classe operaia non vede prospettive. Nel settore privato, quelli che sono minacciati di licenziamento non vedono come fare per impedire che trust come la Alcatel o altri procedano a queste soppressioni di posti di lavoro.

Nel settore pubblico, dove gli attacchi si preparano tramite le privatizzazioni, il fatto che lo stesso governo di sinistra abbia tanto privatizzato e preparato i piani di privatizzazione in corso non può che disorientare i lavoratori. E non parliamo di questa privatizzazione strisciante che consiste nel sostituire, nelle Poste o altrove, i lavoratori con lo statuto di funzionari statali con altri, sotto contratti di diritto privato.

Per questo è certamente più difficile per i lavoratori trovare obiettivi di lotta nell'esigenza astratta di fermare le privatizzazioni piuttosto che in una battaglia concreta contro gli attacchi ai salari o alle pensioni che riguardano tutti i salariati. E' anche di moda in certi ambienti sindacali portare avanti la rivendicazione di rinazionalizzazione, come protezione per i lavoratori. Certamente non è impossibile che, in un contesto di crisi, la borghesia possa scegliere di restituire al settore pubblico ciò che è stato privatizzato, tanto più se questo si fa con pagamento. Questo non vuole dire che per tanto gli interessi dei lavoratori sarebbero salvaguardati. Può anche essere l'occasione di imporre ai lavoratori nuovi sacrifici in nome della "grande causa delle nazionalizzazioni". Ricordiamoci della nazionalizzazione della siderurgia sotto Mitterrand !

Ma proprio per questo, se le confederazioni sindacali, anche solo la CGT, fossero preoccupate di organizzare la resistenza della classe operaia agli attacchi, dovrebbero proporre un piano di mobilitazione che dia di nuovo fiducia e apra una prospettiva. Non si tratta di definire astrattamente qui cosa dovrebbe essere un tale piano di mobilitazione. Ma l'anno 1995, con le sue mobilitazioni che preparavano -involontariamente- gli scioperi del novembre-dicembre, può darcene un'idea.

Diciamo solo che, nell'attuale situazione, a meno di un'esplosione sociale che per il momento niente permette di percepire, le iniziative dipendono dalle grandi confederazioni sindacali. Anche lì, si è potuto constatare con la giornata d'azione EDF-GDF che, perché la partecipazione dei lavoratori del settore allo sciopero e alla manifestazione fosse larga, occorreva che tutte le organizzazioni sindacali ci chiamassero.

Questa realtà limita ovviamente le possibilità d'intervento della piccola organizzazione che siamo, ma non affatto le nostre possibilità di propaganda attorno alla necessità di una lotta d'insieme di tutti i lavoratori, né le nostre possibilità di fare agitazione perché le giornate di mobilitazione o di sciopero rappresentino un incoraggiamento per i lavoratori e non siano, al contrario, una fonte di scoraggiamento maggiore. Non abbiamo nessuna influenza su tale mobilitazione. Ma convincere lavoratori del nostro ambiente intorno a questa prospettiva ci permetterà di rafforzare la nostra influenza politica.

E dovremo partecipare, come abbiamo fatto l'anno scorso, alle mobilitazioni di categorie di lavoratori che, come i "sans-papiers", si ritrovano con le spalle al muro.

L'anno a venire sarà un anno in cui, per la prima volta da molto tempo, non ci sarà scadenza elettorale.

Le scadenze più vicine saranno nel 2004, con sia delle elezioni regionali che delle elezioni europee, due elezioni in cui, in passato, siamo riusciti ad avere degli eletti. Ovviamente parteciperemo a queste elezioni, il che può significare una precampagna alla fine dell'anno 2003, ma non sappiamo ancora secondo quali leggi elettorali saranno organizzate. Quello che si può dire è che, se ci sarà un cambiamento, non sarà in direzione di una proporzionale più equa, giacché l'obiettivo sarà di scartare le cosiddette piccole formazioni politiche, in nome ovviamente di un "buon funzionamento della democrazia" !

Anche se non ci sono elezioni quest'anno, dobbiamo assimilare quello che le elezioni passate ci hanno portato. La successione delle elezioni comunali, presidenziale e legislative, ci ha permesso di allargare, in modo notevole sulla nostra scala, l'ambiente che ci circonda, che si riconosce nelle nostre idee ed ha subito con noi i contraccolpi delle campagne elettorali, le speranze, le delusioni, le difficoltà, come quelle della sceneggiata del voto Chirac, in cui eravamo a controcorrente.

Quelli che sono rimasti con noi, spesso in città dove prima non esistevamo, rappresentano un capitale per proseguire il nostro sviluppo. Conquistarli, collegarli alla nostra organizzazione, trasmettere loro le idee comuniste di cui siamo portatori, sono compiti importanti e, con le nostre solite attività, rappresentano prospettive organizzative di sviluppo per questo anno.

28 ottobre 2002