Relazione sulla situazione interna

Εκτύπωση
Testi del 33 congresso di Lutte Ouvrière (da "Lutte de classe" n 77)
dicembre 2003

La politica condotta nel corso dell'anno passato dalla coppia Chirac-Raffarin ha illustrato l'inanità dei propositi di quelli che pretendevano che Chirac sarebbe stato costretto a tener conto del fatto che è stato eletto grazie al sostegno dei partiti dell'ex-sinistra plurale -quello che chiamavano il "Fronte repubblicano" - e, grazie a questo, dai quattro quinti dell'elettorato. Al contrario, com'era prevedibile, l'80 per 100 dei voti portati su di lui al secondo turno gli hanno facilitato il compito di lanciare, su tutti i terreni, un'offensiva generale contro il mondo del lavoro, che mira a ridurre la parte salariale nel reddito nazionale, al profitto delle classi possidenti.

Grazie a questo, il tenore di vita della grande massa dei salariati non ha smesso di degradarsi; non solo a causa del blocco di fatto dei salari, mentre l'inflazione continua lentamente ma inesorabilmente ad aumentare, ma anche a causa delle conseguenze dei licenziamenti, della moltiplicazione del lavoro precario e dei part-time imposti, tutti fattori che diminuiscono la parte dei salariati.

A questi fenomeni, bisogna aggiungere l'evoluzione della fiscalità che favorisce gli alti redditi e lede quelli più poveri.

La diminuzione del 3% dell'imposta sul reddito non rappresenta quasi niente per i lavoratori. Ma questa diminuzione costituisce un prezioso regalo per gli alti redditi. E, parallelamente a questo, l'aumento delle imposte locali colpisce proporzionalmente ben più duramente i redditi bassi (compresi i più modesti) che i redditi più alti.

In nome delle "riforme", il governo conduce una politica di regressione nel campo sociale. Dopo Balladur che a suo tempo portò a 40 anni nel settore privato la durata dei contributi necessari per poter pretendere una pensione al tasso pieno (misura che la "sinistra plurale" al governo dal 1997 al 2002 si è ben guardata dall'annullare), Raffarin, in nome dell'equità, ha esteso questa misura al settore pubblico, mente pianificava nuovi allungamenti per tutti della durata contributiva necessaria.

In un contesto segnato dall'aumento del numero dei disoccupati, che sta per raggiungere ufficialmente il 10% della popolazione attiva, questi discorsi sulla pretesa necessità di lavorare di più non sono che ipocrisia. Le grandi imprese, fin tanto che ci sarà la disoccupazione, non conserveranno salariati usati da decenni di sfruttamento. L'allungamento dell'età della pensione non farà altro che aumentare il numero dei disoccupati.

Ma per il padronato come per lo Stato, ciò si tradurrà in economie sulle spalle dei lavoratori anziani che, non avendo il numero di anni di contributi voluti, finiranno la loro vita con pensioni o sussidi miserabili, oppure si estenueranno in lavori sottopagati. Tutto ciò farà pesare ancor più la paura della disoccupazione sull'insieme dei lavoratori.

La decisione di limitare a due anni il versamento del sussidio di solidarietà specifico (Allocation de Solidarité Spécifique - ASS), versato ai disoccupati che non hanno più diritto agli altri sussidi, incide in modo evidente nello stesso senso. In realtà non si tratta neanche di cercare le economie immediate, poiché la sostituzione dell'ASS con l'RMI (Reddito Minimo d'Inserzione) non rappresenta un granché per le finanze pubbliche. Ma ciò contribuirà a diminuire le pensioni dei lavoratori in questione, poiché gli anni di RMI non sono contabilizzati nel calcolo della pensione. E si tratta nello stesso tempo di lusingare la parte più reazionaria dell'elettorato di destra stigmatizzando i disoccupati, presentati come fannulloni che approfittano dei sussidi sociali.

Ufficialmente, la "riforma" della previdenza sociale non è ancora iniziata. Ma le misure già avviate che riguardano l'aumento del ticket ospedaliero, il non-rimborso totale o parziale di numerosi prodotti farmaceutici, mostrano che si tratta di far sopportare sempre più spese di salute alle casse di previdenza integrative, vale a dire di fatto ai salariati che le pagano con i loro contributi. Per i più agiati, ciò non costituirà un grosso problema, ma gli altri saranno costretti a rinunciare all'adesione a queste casse integrative. La conseguenza è che una frazione crescente della popolazione lavoratrice si troverà nell'impossibilità di curarsi, tanto più che l'industria farmaceutica raddoppia, addirittura triplica, immediatamente, il prezzo delle medicine non rimborsate.

Le conseguenze della canicola assassina del mese d'agosto hanno messo d'altra parte in evidenza lo sfacelo del sistema ospedaliero : l'estrema insufficienza degli organici negli ospedali come nelle case di riposo o nei servizi sociali, la chiusura di molti letti durante i mesi estivi, il sovraccarico dei servizi d'emergenza, sono stati causa di più di 15 000 morti supplementari, riconosciuti ufficialmente dopo che il governo ha cercato a lungo di minimizzare la catastrofe. Questa carenza non gli ha impedito di proclamare, senza vergogna, che la responsabilità era delle 35 ore in vigore negli ospedali.

Malgrado i discorsi dei politicanti di destra e dei rappresentanti del padronato sulle pretese malefatte delle 35 ore sull'economia, sembra che il governo non abbia l'intenzione di sopprimere una legge che favorisce più il padronato che i lavoratori, accrescendo in numerose imprese la "flessibilità" del lavoro, e rendendo possibile l'annualizzazione degli orari, e dunque sopprimendo le maggiorazioni per gli straordinari calcolate sulla settimana, senza dimenticare le sovvenzioni sui salari più bassi. Quello che vorrebbe il padronato è sopprimere tutto ciò che favorisce i lavoratori in questa legge -come i giorni di riposo supplementari, presentati come un incoraggiamento alla pigrizia - ma mantenere tutti i privilegi consentitigli da questa legge. Se abbiamo, a suo tempo, denunciato il fatto che le leggi delle 35 ore, le cosiddette "leggi Aubry", costituivano un vero regalo per il padronato, dobbiamo altrettanto fermamente condannare tutti i tentativi di evacuare quanto è favorevole ai lavoratori e di mantenere i regali al padronato.

Per quanto reazionaria possa essere, la politica del governo Raffarin si inscrive nella continuità di quella condotta dai vari governi che si sono succeduti dal 1981, periodo in cui la sinistra ha gestito gli affari durante quindici anni (dal 1981 al 1986, dal 1988 al 1993 e dal 1997 al 2002), di cui otto anni con ministri comunisti al governo.

Questa sinistra era fiera di aver "riabilitato l'impresa", e aveva fatto del licenziatore Bernard Tapie il suo eroe. La sola vera differenza tra la sinistra e la destra è che non usano esattamente lo stesso linguaggio perché non hanno lo stesso elettorato, poiché la sinistra si sforza di convincere le masse popolari che agisce per il loro bene, mentre la destra cerca appoggi nella frazione più reazionaria dell'elettorato.

Il partito socialista non ha altre prospettive, se ritorna al governo, che riprendere la stessa politica che è già stata sconfessata da 2 milioni e mezzo dei suoi elettori e si guarda bene dall'impegnarsi a sopprimere tutte le misure prese da Raffarin.

Il partito comunista, che ha, quanto a lui, perduto un milione e mezzo di voti, non ha altra scelta che una nuova alleanza elettorale con il partito socialista, se vuole beneficiare di qualche poltroncina ministeriale che il PS gli lascerebbe laddove un ministro comunista potrebbe ingannare meglio i lavoratori.

D'altra parte pochi lavoratori si fanno illusioni su quanto la sinistra potrebbe fare di positivo per le classi popolari. Ma il carattere provocatorio della politica condotta dall'équipe Raffarin, Fillon, Mattei è il miglior agente elettorale del partito socialista, a tal punto che quest'ultimo potrebbe apparire agli occhi di molti lavoratori come "il meno peggio". A meno che non si volgano, per rancore, verso il Fronte nazionale.

Malgrado i suoi successi elettorali del 2002, la maggioranza di destra non è certo di una solidità a tutta prova. Se il governo ha scelto di lusingare apertamente l'elettorato borghese e piccolo-borghese, e di adottare un linguaggio sprezzante verso la classe operaia, molti eletti della maggioranza, in funzione dei caratteri propri dei loro colleggi elettorali o delle loro regioni, non hanno voglia di mostrare una solidarietà infallibile con la politica del governo. La fronda larvata di un certo numero di deputati della maggioranza non concerne solo il partito UDF e non è solo conseguenza delle ambizioni presidenziali reali o presunte del suo dirigente Francois Bayrou.

Le idee reazionarie non sono in regressione nei ceti popolari, al contrario, come lo dimostra la persistenza, addirittura la lenta progressione, da anni, dell'elettorato del Fronte nazionale, anche in quartieri operai, e d'altra parte lo sviluppo dell'attività di gruppi musulmani integralisti fra la popolazione immigrata. Il Fronte nazionale, a cui fa concorrenza sul terreno dell'insicurezza il ministro degli interni Sarkozy, apparentemente ha scelto di dare un profumo "sociale" alla sua propaganda nauseabonda senza, evidentemente, prendersela minimamente col padronato, suonando come al solito le trombe del nazionalismo, contro la concorrenza dei prodotti esteri, innanzitutto europei, e della manodopera straniera.

I movimenti sociali della primavera scorsa, anche se hanno mostrato un forte malcontento di una parte dei lavoratori e soprattutto dei lavoratori della funzione pubblica -insegnanti, ferrovieri, elettricità (EDF) - non sono mai sfuggiti al controllo degli apparati sindacali. Senza l'intervento delle confederazioni sindacali e in particolare della CGT, questi movimenti non sarebbero scoppiati. Le "assemblee generali" degli insegnanti che sono apparse in alcune città non sono mai state una reale direzione di ricambio. D'altronde, alcuni "gauchistes" non auspicavano neanche che la direzione del movimento sfuggisse ai sindacati insegnanti.

Non bisogna dimenticare che il peso numerico degli insegnanti nel movimento va misurato rispetto ad un effettivo totale di quasi un milione di salariati. Anche se movimenti di questo tipo smuovono decine di migliaia oppure, all'apice del movimento, una o due centinaia di migliaia di manifestanti, ciò resta una minoranza. Nel frattempo in ogni istituto, nel corso dello sciopero non c'era che una proporzione molto debole di scioperanti.

E' vero che la CGT avrebbe potuto non arrestare lo sciopero dei ferrovieri all'indomani del 13 maggio. Ma niente ci dice che questo sciopero si sarebbe esteso al paese poiché non c'era nessuna estensione dello sciopero nelle grandi imprese private e nessuna rivendicazione unificante per l'insieme dei lavoratori.

Le confederazioni sindacali CGT e FO hanno solo cercato di mostrare che bisognava tener conto della loro esistenza. La CFDT e la CGC si sono sbrigate di firmare il testo del governo, dandogli la legittimazione legale sufficiente, se non la legittimazione morale, al costo di perdere nell'operazione una parte non indifferente dei loro militanti. Il governo si è sbrigato di realizzare questo "accordo" firmato solamente da due delle confederazioni meno rappresentative, considerando che il "dialogo sociale" era arrivato a termine, cosa che continua a ripetere. E anche se la CGT, FO e la FSU hanno continuato a porsi come avversari della politica del governo, non avevano altra prospettiva che quella di essere reinvitati ad un negoziato.

E' vero che la classe operaia ed i lavoratori in genere, ingannati, delusi e traditi, sprofondano nella demoralizzazione, conseguenza del peso della disoccupazione che dura da anni. Conseguenza anche della politica del governo di sinistra, politica che ha chiuso la porta ad ogni speranza di cambiamento reale poiché lasciava credere che non ci fosse nessuna alternativa.

Nonostante gli scioperi della primavera non siano stati più profondi e non si siano generalizzati, hanno mostrato comunque un forte grado di malcontento dell'insieme dei lavoratori. Hanno incontrato una grandissima simpatia, in tutti i ceti sociali. Si sono sentite poco o niente riflessioni del genere : "i ferrovieri sono avvantaggiati", "e d'altra parte non sono interessati poiché le loro pensioni non saranno colpite" e "gli insegnanti sono dei privilegiati".

Questo malcontento esiste sempre e lo sciopero degli insegnanti, anche se è finito con un indietreggiamento, come tutti i movimenti che non hanno vinto, ha lasciato delle tracce positive.

Niente indica che un movimento più imponente scoppierà in un prossimo futuro, ma il malcontento di cui parliamo esiste ed è molto profondo. I continui attacchi del governo e del padronato ed il cinismo col quale li conducono lasciano essi stessi tracce positive negli spiriti. Oggi, gli insegnanti hanno coscienza di far parte dei lavoratori.

Benché non si possano paragonare questi due periodi sul piano materiale, si ritrovano in bocca di quella gente degli argomenti della borghesia del XIX secolo, all'epoca dell'industrializzazione, di fronte ai miserabili scacciati dalle campagne dall'industrializzazione, che andavano verso le città sperando di trovarci del lavoro e quindi condizioni di vita più favorevoli. Lo Stato della borghesia, in Inghilterra, in Francia o in Germania, faceva la caccia ai poveri e ai miserabili, e tutti quelli che non avevano lavoro, che chiedevano l'elemosine, erano perseguitati, condannati, rinchiusi, addirittura in alcune epoche mutilati poiché, evidentemente, quelli che non lavoravano erano "la schiuma della società" e bisognava costringerli a lavorare a qualunque prezzo e in qualunque condizione.

Oggi, quando un ministro del lavoro dice serenamente che diminuisce la durata dei sussidi di disoccupazione per il bene dei lavoratori e per incitarli a reinserirsi, le cose sono dette più graziosamente, ma sono le stesse idee e la stessa rapacità che si nascondono dietro.

Allora, dobbiamo aiutare la rivolta di questo mondo del lavoro che rischia di diventare "il popolo degli abissi". È necessario che noi l'aiutiamo a difendersi, a organizzarsi, a istruirsi ed a istruire gli altri.

Il rischio di un'esplosione di collera, come se ne sono prodotte nel XIX secolo e, più recentemente, nel 1947-1948, forse non è evidente ma è possibile. Ma non è quanto sia più auspicabile. Quello che è auspicabile è che i lavoratori entrino in lotta, ma non in qualsiasi modo. Bisogna che entrino in lotta in modo organizzato, potente e soprattutto cosciente.

Reclutare e formare militanti comunisti rivoluzionari che siano legati alle preoccupazioni, alle aspirazioni del mondo del lavoro, compresi i suoi ceti più sfruttati, resta l'asse principale della nostra attività e quanto cerchiamo di fare con perseveranza militando e cercando di reclutare in seno a queste categorie sociali, senza ignorare tutte le occasioni per far conoscere largamente le nostre idee ed il nostro programma e, anche, di dimostrarne il valore.

24 ottobre 2003